21.1.02

Le contraddizioni di Assisi

di Gianni Baget Bozzo
da Panorama del 21/01/2002
Roma non è più Roma, il Papato assume una veste cangiante, sembra piuttosto il governo di un uomo che il governo di una Tradizione. La tradotta di Assisi che porterà gli uomini delle religioni a pregare Dio perché non comandi più stragi in suo nome farebbe la gioia di Voltaire. Tutte le religioni si riconoscono omicide e promettono l'una all'altra di non farlo più. Infine Assisi sarebbe l'alto luogo dell'agnosticismo religioso: chi è agnostico, in quanto tale, non fa stragi in nome di Dio. C'è dunque in questa tradotta di religiosi qualcosa di eminentemente ironico, sembrerebbe un esorcismo alla violenza religiosa.
Partecipando a questo simposio, i cristiani fanno torto a sé stessi, perché in realtà essi non hanno mai ucciso in nome di Dio, ma in nome dell'ordine pubblico: la Chiesa era bene attenta a non uccidere l'eretico ricaduto, lo consegnava allo Stato e questi lo bruciava perché l'ortodossia faceva parte dell'ordine civile della società. La Chiesa insomma stava ben attenta che l'eresia come tale non fosse la causa diretta di esecuzione capitale.
Si dirà che queste sono distinzioni verbali, che il fuoco bruciava fosse della Chiesa o dello Stato. Ma quando la Rivoluzione prese il posto dell'Inquisizione e lo Stato nazionalista o rivoluzionario eretto la bandiera della laicità e dell'ateismo, è stata persino possibile l'apologia della Santa Inquisizione che fece, nella più rigorosa procedura legale, un numero risibili di vittime. Del resto, colui che instaurò la pena del fuoco per l'eretico fu il più laico dei sovrani medievali, Federico secondo. L'Islam invece contiene il precetto di uccidere l'infedele in nome di Dio. Ed in realtà la riunione di Assisi è fatta per cercare di dissociare gli islamici da questo chiaro precetto del Corano, degli hadith e della Sunna: uccidere l'infedele, lapidare l'adultera. Fatica sprecata, Santo Padre.
Sembra non importare che i musulmani continuino ad ammazzare i cristiani in nome di Dio in tutte le aree dove esiste spazio alla violenza, a cominciare dalla tragedia sudanese e che infine siano ben pochi gli ulema che hanno condannato gli attentati delle due torri. Quello che importa è disegnare un Cristianesimo in cui il culto della tolleranza è divenuto l'unico contenuto etico religioso di Gesù di Nazareth.
Il Cristo Re dell'Apocalisse è dimenticato: i cristiani sono destinati a tacere e a subire dove sono perseguitati ed ad essere elogiati dalla cultura laica per la loro tolleranza e dai no global per la loro intransigenza contro il geneticamente modificato ed il peccato ideologico. Tanto che avviene ad un povero cristiano la domanda se sia rimasto soltanto il povero a chiedere se la Chiesa abbia una struttura mistico dogmatica o se l'illuminismo ha vinto la sua battaglia nella Chiesa per resa dell'avversario. "Io sono la via, la Verità, e la Vita" sono l'autodefinizione di Gesù nei Vangeli. Rosenszvweig ed ora Michel Henry, scrivono da filosofi che il proprio del Cristo è dire "Io sono la Verità". Parole intolleranti, a cui è molto meglio contrapporre la saggezza antica nella parola di Pilato "che cosa è la verità? " Ma che senso ha il Papato se la Verità non è più l'attributo del Cristo ma lo diventa la tolleranza, che ha sempre in sé una forma di indifferenza alla verità? La fine del regno di Giovanni Paolo secondo sconcerta il cattolico che vede nel Papa non la sicurezza della Tradizione ma la provocazione del "fare notizia".