tag:blogger.com,1999:blog-43424168209852824062023-11-16T07:04:29.482-08:00Pellegrini della Verità verso AssisiUn approfondimento sui passi di Bendetto XVIParati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comBlogger25125tag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-83688276321587722132012-01-14T05:30:00.000-08:002012-01-14T05:30:29.095-08:00I non credenti e la ricerca di Dio<br />
<span>Dopo lo storico invito di Benedetto XVI ad Assisi</span><br />
<i><span> </span></i><b style="text-align: -webkit-center;"><span>di GUILLERMO HURTADO (fonte: </span></b><b style="font-size: small;">©L'Osservatore Romano 14 gennaio 2012)</b><br />
<div style="text-align: -webkit-center;">
<span style="font-size: medium;"><i><br /></i></span></div>
<blockquote>
<div align="justify">
<span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Il 27 ottobre 2011 sono stato invitato, insieme a Walter Baier, Remo Bodei e Julia Kristeva, all'incontro ecumenico e interreligioso organizzato ad Assisi dalla Chiesa cattolica. </span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Noi quattro siamo non credenti dichiarati, ma siamo stati invitati con uno storico gesto di Papa Benedetto XVI a favore del dialogo fra credenti e non credenti. Mi sembra che l'importanza di questo dialogo non si possa ignorare. Credo tuttavia che per configurarlo meglio occorra fare alcune distinzioni.<br />Così come i credenti non sono tutti uguali - ce ne sono di fedi e atteggiamenti differenti - non lo sono neppure i non credenti. Potremmo dire che normalmente i non credenti si trovano tra due estremi: da una parte ci sono gli atei pieni di rabbia, nemici di Dio e della religione, dall'altra gli agnostici spirituali che stanno per convertirsi a una religione specifica. Fra questi due estremi, tanto distanti fra loro, ci sono molti tipi di non credenti: i tolleranti, gli indifferenti, quelli che cercano Dio, quelli che si rifiutano di credere in lui, e così via.<br />Ci sono anche atei che in realtà non lo sono, che credono in Dio nel profondo del loro animo, ma che sono arrabbiati con lui e che perciò lo negano. Ci sono pure agnostici che in realtà non lo sono, che credono nella divinità ma che non ne conoscono il volto e quindi non adottano una religione specifica. Lo spettro delle posizioni è amplissimo e perciò parlare di non credenti in astratto genera non poche difficoltà. Di questo noi quattro non credenti invitati ad Assisi ci siamo subito resi conto. Le nostre posizioni di fronte alla religione e di fronte alla divinità erano molto diverse. Sembra che, dei quattro, io sia stato l'unico a sentirsi identificato con il messaggio del Papa agli agnostici. Nel suo discorso di Assisi, Benedetto XVI ha fatto una distinzione fra atei e agnostici. Ha descritto i primi come antireligiosi e i secondi come persone che soffrono per la loro mancanza di fede e che nella loro ricerca della verità e del bene cercano anche Dio.<br />Quando ho ascoltato questa definizione degli agnostici mi sono commosso. In effetti, nella mia umile ricerca della verità mi sono interrogato sull'esistenza di un Dio che potesse dare una risposta alle mie domande. E nello scoprirmi senza fede, senza protezione, ho anche desiderato l'esistenza di un Dio che mi offrisse sostegno nei giorni più neri.<br />Ma non sempre penso e sento allo stesso modo. A volte, la stessa ricerca della verità, vale a dire della verità oggettiva - quale altra potrebbe essere? - mi fa pensare che Dio non esiste, che dobbiamo cercare le risposte da soli. Altre volte, quando soffro per la mia solitudine, per la mia finitezza, qualcosa dentro di me mi fa ribellare contro l'idea che solo un Dio magnanimo potrebbe tirarmi fuori da questo stato. E allora ritrovo nella mia condizione la dignità e il coraggio sufficienti per andare avanti. L'agnostico che soffre perché è senza Dio e lo cerca è, a mio parere, un tipo molto speciale di non credente che non si può prendere come esempio paradigmatico dell'agnostico.<br />Se la Chiesa cattolica desidera veramente dialogare con tutti i non credenti, dovrà riconoscere che ce ne sono di tanti tipi, che non tutti cercano Dio o soffrono per la sua mancanza, e che tuttavia molti di essi sono disposti ad aprire la propria mente e il proprio cuore per avviare un dialogo costruttivo con i cattolici. Se qualcosa possiamo prendere da quello che potremmo chiamare il "nuovo spirito di Assisi" è proprio questo.</span></blockquote>
<br class="Apple-interchange-newline" />Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-87639633566386976402011-11-06T13:29:00.001-08:002011-11-06T13:29:47.882-08:00La prolusione di S.E. Card. Burke<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="http://www.youtube.com/embed/7ywooC9WEqY?rel=0" width="420"></iframe>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-11700948324778849262011-11-05T02:38:00.000-07:002011-11-05T02:38:21.549-07:00Apertura del Convengo e intervento di P. Lanzetta<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="http://www.youtube.com/embed/lPzFrHRSNbo?rel=0" width="420"></iframe>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-52906011137406932152011-10-28T07:22:00.000-07:002011-10-28T07:22:13.415-07:00Il Papa abbraccia i cercatori di Dio<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 13.5pt;"><span style="color: #333333; font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">da <a href="http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-il-papa-abbraccia-i-cercatori-di-dio-3464.htm">“La Bussola quotidiana”</a><o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 13.5pt;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';"><b>di Giacomo Samek Lodovici <span class="Apple-style-span" style="color: #333333;"><o:p></o:p></span></b></span></div><div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 13.5pt;"><b><span style="color: #333333; font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"> </span></b></div><b><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">28/10/2011</span></b><br />
<div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; line-height: 13.5pt; text-align: -webkit-left;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">Nel suo intervento ad Assisi Papa Benedetto XVI ha fatto un elogio dell’agnosticismo?<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">Il Papa ha apprezzato una classe di agnostici, quelli che sono alla ricerca di risposte su Dio,</span></strong><span class="apple-converted-space"><b><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"> </span></b></span><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">sull’immortalità dell’anima, sui destini ultimi dell’essere umano, quelli a cui «non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: "Non esiste alcun Dio". Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui».</span></div><a name='more'></a><o:p></o:p><br />
<div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">Questi agnostici svolgono un ruolo benefico sia nei confronti degli atei laicisti</span></strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">, sia di alcuni credenti tiepidi e/o tralignanti. Infatti, come ha detto il Papa, essi «Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa». E sono (o dovrebbero essere) uno sprone anche nei confronti dei credenti tiepidi, perché questi ultimi dovrebbero sentire la responsabilità, e non di rado anche il senso di colpa, per la non credenza di tali agnostici: «Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo a noi credenti, a tutti i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio - il vero Dio - diventi accessibile».<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; line-height: 13.5pt; text-align: -webkit-left;"></div><div style="text-align: justify;"><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">Ma c’è un’altra forma di agnosticismo, quella di chi dice: "la fede è un dono</span></strong><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">, io questo dono non l’ho ricevuto, dunque non posso farci niente".</span></div><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';"><div style="text-align: justify;">Ora, da un lato è vero che la fede è un dono, è una virtù teologale (che ha cioè Dio per oggetto) infusa. L’uomo non la può produrre da se stesso, non la può nemmeno esigere, ed è frutto di un beneficio divino, favorito spesso da alcune preziose relazioni fondamentali (anch’esse dono divino) delle nostre esistenze, quelle con padri, madri, amici, maestri, ecc. credenti.</div><o:p></o:p></span><br />
<div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">D’altro canto, non bisogna nemmeno essere passivi e aspettare che la fede piova dal Cielo</span></strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">, né pensare di essere scaraventati mentre si cavalca sulla via di Damasco (come avvenne a Paolo di Tarso), o mentre si è indifferenti e in tutt’altre faccende affaccendati. Beninteso, anche in questi casi Dio può irrompere nel cuore dell’uomo (senza mai peraltro violentare la libertà umana), ma ciò avviene raramente, perché Dio non vuole comportarsi come un ospite indesiderato.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">È vero che la fede è un dono, nondimeno l’uomo dovrebbe cercarla come fa la figura di agnostico</span></strong><span class="apple-converted-space"><b><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"> </span></b></span><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">descritta dal Papa, dovrebbe sforzarsi di propiziarla, di favorirla, come fa chi prepara un terreno, arandolo, irrigandolo, ecc. affinché poi possa avvenire la seminagione.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; line-height: 13.5pt; text-align: -webkit-left;"></div><div style="text-align: justify;"><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">Fuori di metafora, che cosa significa?</span></strong></div><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"><div style="text-align: justify;">Vuol dire anzitutto invocare Dio anche se non si è sicuri che esista.</div><div style="text-align: justify;">Inoltre significa impegnarsi a conoscere (attraverso letture, incontrando persone, meditando in silenzio, ecc.) chi sarebbe Dio qualora esistesse, un po’ come fa chi cerca un tesoro senza esser certo che sia davvero sepolto in fondo ad un abisso o nelle viscere di una montagna. E non ci si può accontentare delle conoscenze rudimentali, e inoltre molto sbiadite nella memoria, dell’eventuale catechismo ascoltato alle elementari.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><o:p></o:p></span><br />
<div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">Significa altresì interrogarsi (per chi ha gli strumenti per farlo) sulla validità/invalidità</span></strong><span class="apple-converted-space"><b><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"> </span></b></span><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">di quelle prove filosofiche dell’esistenza di Dio che la tradizione filosofico-metafisica ha elaborato (da Socrate, Platone e Aristotele in poi), prove che non riguardano direttamente l’esistenza del Dio cristiano, però quella di un Dio che è decisamente propedeutico alla fede nel Dio cristiano (per qualche considerazione al riguardo cfr. qui<span class="apple-converted-space"> </span><a href="http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-dio-ha-posto-nelluomoil-desiderio-di-verit-1733.htm"><span style="color: windowtext;">http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-dio-ha-posto-nelluomoil-desiderio-di-verit-1733.htm</span></a>. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; line-height: 13.5pt; text-align: -webkit-left;"></div><div style="text-align: justify;"><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">Vuol dire inoltre vivere non già</span></strong><span class="apple-converted-space"><b><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"> </span></b></span><em><b><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">etsi Deus non daretur</span></b></em><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">, bensì come se Dio esistesse.</span></strong></div><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"><div style="text-align: justify;">Significa provare a vedere se è vero ciò che dice quel vangelo, che potrebbe essere parola di Dio, che afferma: «chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarò aperto».</div><div style="text-align: justify;">Con questa disposizione interiore, con questo atteggiamento, diventa realmente possibile che la mozione dello Spirito promuova l’atto di fede.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><o:p></o:p></span><br />
<div class="MsoNormal" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; line-height: 13.5pt; text-align: justify;"><strong><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">Perché mai l’agnostico dovrebbe coltivare questo atteggiamento?</span></strong><span class="apple-converted-space"><b><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;"> </span></b></span><span style="font-family: "Trebuchet MS"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">Perché la questione su Dio, sulla sua esistenza/inesistenza è la più importante dell’intera vita, perché se Dio esiste, e se ha il volto del Dio cristiano, da lui dipendono il senso della vita, la possibilità di conseguire il fine ultimo del nostro stare al mondo al posto del più drammatico, tragico, totale, assoluto fallimento. Del nostro fallimento eterno, al posto della gioia senza fine</span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-80936037419089901492011-10-27T12:58:00.000-07:002011-10-27T12:58:12.541-07:00ASSISI 2011 - Intervento di S.S. Benedetto XVI<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpH9a9Cl5u73Silj3Zw_xemYGZQ_NSkDl9bRL8RXZB4T0cm7KHw0HIk8Ys8I7l1zLB2LPhAKKQcx0BLfIlRgkkYATpoi6esLhj7Zj4ym9wvuec8ntp0jhAOtO3NsAg18mWP76I_QlYIMw/s1600/papa+benedetto+assisi+2011.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpH9a9Cl5u73Silj3Zw_xemYGZQ_NSkDl9bRL8RXZB4T0cm7KHw0HIk8Ys8I7l1zLB2LPhAKKQcx0BLfIlRgkkYATpoi6esLhj7Zj4ym9wvuec8ntp0jhAOtO3NsAg18mWP76I_QlYIMw/s320/papa+benedetto+assisi+2011.jpg" width="213" /></a></div><br />
<br />
<i><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Cari fratelli e sorelle,<br />
distinti Capi e rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali e delle religioni del mondo,<br />
cari amici,</span></i><span style="font-family: 'Trebuchet MS';"><o:p></o:p></span><br />
<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">sono passati venticinque anni da quando il beato Papa<span class="apple-converted-space"> </span><a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/index_it.htm">Giovanni Paolo II</a><span class="apple-converted-space"> </span>invitò per la prima volta rappresentanti delle religioni del mondo ad<span class="apple-converted-space"> </span><a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/travels/sub_index1986/trav_perugia-assisi_it.htm">Assisi</a><span class="apple-converted-space"> </span>per una preghiera per la pace. Che cosa è avvenuto da allora? A che punto è oggi la causa della pace? </span></div><a name='more'></a>Allora la grande minaccia per la pace nel mondo derivava dalla divisione del pianeta in due blocchi contrastanti tra loro. Il simbolo vistoso di questa divisione era il muro di Berlino che, passando in mezzo alla città, tracciava il confine tra due mondi. Nel 1989, tre anni dopo Assisi, il muro cadde – senza spargimento di sangue. All’improvviso, gli enormi arsenali, che stavano dietro al muro, non avevano più alcun significato. Avevano perso la loro capacità di terrorizzare. La volontà dei popoli di essere liberi era più forte degli arsenali della violenza. La questione delle cause di tale rovesciamento è complessa e non può trovare una risposta in semplici formule. Ma accanto ai fattori economici e politici, la causa più profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il potere materiale non c’era più alcuna convinzione spirituale. La volontà di essere liberi fu alla fine più forte della paura di fronte alla violenza che non aveva più alcuna copertura spirituale. Siamo riconoscenti per questa vittoria della libertà, che fu soprattutto anche una vittoria della pace. E bisogna aggiungere che in questo contesto si trattava non solamente, e forse neppure primariamente, della libertà di credere, ma anche di essa. Per questo possiamo collegare tutto ciò in qualche modo anche con la preghiera per la pace.<o:p></o:p><br />
<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Ma che cosa è avvenuto in seguito? Purtroppo non possiamo dire che da allora la situazione sia caratterizzata da libertà e pace. Anche se la minaccia della grande guerra non è in vista, tuttavia il mondo, purtroppo, è pieno di discordia. Non è soltanto il fatto che qua e là ripetutamente si combattono guerre – la violenza come tale è potenzialmente sempre presente e caratterizza la condizione del nostro mondo. La libertà è un grande bene. Ma il mondo della libertà si è rivelato in gran parte senza orientamento, e da non pochi la libertà viene fraintesa anche come libertà per la violenza. La discordia assume nuovi e spaventosi volti e la lotta per la pace deve stimolare in modo nuovo tutti noi.<o:p></o:p></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Cerchiamo di identificare un po’ più da vicino i nuovi volti della violenza e della discordia. A grandi linee – a mio parere – si possono individuare due differenti tipologie di nuove forme di violenza che sono diametralmente opposte nella loro motivazione e manifestano poi nei particolari molte varianti. Anzitutto c’è il terrorismo, nel quale, al posto di una grande guerra, vi sono attacchi ben mirati che devono colpire in punti importanti l’avversario in modo distruttivo, senza alcun riguardo per le vite umane innocenti che con ciò vengono crudelmente uccise o ferite. Agli occhi dei responsabili, la grande causa del danneggiamento del nemico giustifica ogni forma di crudeltà. Viene messo fuori gioco tutto ciò che nel diritto internazionale era comunemente riconosciuto e sanzionato come limite alla violenza. Sappiamo che spesso il terrorismo è motivato religiosamente e che proprio il carattere religioso degli attacchi serve come giustificazione per la crudeltà spietata, che crede di poter accantonare le regole del diritto a motivo del “bene” perseguito. La religione qui non è a servizio della pace, ma della giustificazione della violenza.<o:p></o:p></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappresentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire – e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione. Contro ciò si obietta: ma da dove sapete quale sia la vera natura della religione? La vostra pretesa non deriva forse dal fatto che tra voi la forza della religione si è spenta? Ed altri obietteranno: ma esiste veramente una natura comune della religione, che si esprime in tutte le religioni ed è pertanto valida per tutte? Queste domande le dobbiamo affrontare se vogliamo contrastare in modo realistico e credibile il ricorso alla violenza per motivi religiosi. Qui si colloca un compito fondamentale del dialogo interreligioso – un compito che da questo incontro deve essere nuovamente sottolineato. Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è “Dio dell’amore e della pace” (<i>2 Cor</i><span class="apple-converted-space"> </span>13,11). È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo.<o:p></o:p></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Se una tipologia fondamentale di violenza viene oggi motivata religiosamente, ponendo con ciò le religioni di fronte alla questione circa la loro natura e costringendo tutti noi ad una purificazione, una seconda tipologia di violenza dall’aspetto multiforme ha una motivazione esattamente opposta: è la conseguenza dell’assenza di Dio, della sua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò. I nemici della religione – come abbiamo detto – vedono in questa una fonte primaria di violenza nella storia dell’umanità e pretendono quindi la scomparsa della religione. Ma il “no” a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio.<o:p></o:p></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Qui non vorrei però soffermarmi sull’ateismo prescritto dallo Stato; vorrei piuttosto parlare della “decadenza” dell’uomo, in conseguenza della quale si realizza in modo silenzioso, e quindi più pericoloso, un cambiamento del clima spirituale. L’adorazione di mammona, dell’avere e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta più l’uomo, ma solo il vantaggio personale. Il desiderio di felicità degenera, ad esempio, in una brama sfrenata e disumana quale si manifesta nel dominio della droga con le sue diverse forme. Vi sono i grandi, che con essa fanno i loro affari, e poi i tanti che da essa vengono sedotti e rovinati sia nel corpo che nell’animo. La violenza diventa una cosa normale e minaccia di distruggere in alcune parti del mondo la nostra gioventù. Poiché la violenza diventa cosa normale, la pace è distrutta e in questa mancanza di pace l’uomo distrugge se stesso.<o:p></o:p></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">L’assenza di Dio porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo. Ma dov’è Dio? Lo conosciamo e possiamo mostrarLo nuovamente all’umanità per fondare una vera pace? Riassumiamo anzitutto brevemente le nostre riflessioni fatte finora. Ho detto che esiste una concezione e un uso della religione attraverso il quale essa diventa fonte di violenza, mentre l’orientamento dell’uomo verso Dio, vissuto rettamente, è una forza di pace. In tale contesto ho rimandato alla necessità del dialogo, e parlato della purificazione, sempre necessaria, della religione vissuta. Dall’altra parte, ho affermato che la negazione di Dio corrompe l’uomo, lo priva di misure e lo conduce alla violenza.<o:p></o:p></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mondo in espansione dell’agnosticismo, anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: “Non esiste alcun Dio”. Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Pongono domande sia all’una che all’altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo a noi credenti, a tutti i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio – il vero Dio – diventi accessibile. Per questo ho appositamente invitato rappresentanti di questo terzo gruppo al nostro incontro ad Assisi, che non raduna solamente rappresentanti di istituzioni religiose. Si tratta piuttosto del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto. In conclusione, vorrei assicurarvi che la Chiesa cattolica non desisterà dalla lotta contro la violenza, dal suo impegno per la pace nel mondo. Siamo animati dal comune desiderio di essere “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Vi ringrazio.<o:p></o:p></span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-86268753980211584242011-10-22T11:49:00.000-07:002011-10-22T11:53:23.942-07:00Le religioni ad Assisi. Nessuna rinuncia alla Verità.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglyx7YiwhShRJ2XfSSmYT6nX8ogJZHxBW5gELe0xk-zP1CSNxuwXxPa4qXpzH6rsamyM9rcL2w3ACoPyIi29iYb_5k3BOkpl0vwtLTIBJ05NMdxwEC2v2PDd3eTCYSWSPHsi7c2jrbDAQ/s1600/Religioni+ad+Assisi+copertina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglyx7YiwhShRJ2XfSSmYT6nX8ogJZHxBW5gELe0xk-zP1CSNxuwXxPa4qXpzH6rsamyM9rcL2w3ACoPyIi29iYb_5k3BOkpl0vwtLTIBJ05NMdxwEC2v2PDd3eTCYSWSPHsi7c2jrbDAQ/s400/Religioni+ad+Assisi+copertina.jpg" width="273" /></a></div><br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">L'incontro delle religioni ad Assisi è ormai alle porte, venticinque anni dopo quella prima volta che tanti esaltarono e altri osteggiarono più o meno radicalmente.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">«In riferimento ad Assisi – tanto nel 1986 quanto nel 2002 – ci si è chiesti ripetutamente e in termini molto seri se questo sia legittimo. La maggior parte della gente non penserà che si finge una comunanza che in realtà non esiste? Non si favorisce così il relativismo, l’opinione che in fondo siano solo differenze secondarie quelle che si frappongono tra le “religioni”? Non si indebolisce così la serietà della fede [...]? (J. Ratzinger – Fede, Verità Tolleranza, Ed. Cantagalli)<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Sono questi gli interrogativi alla base del Convegno tenuto il 1 ottobre 2011 a Roma, domande che richiedono una risposta seria ed equilibrata. In questo libro - <b>“Le religioni ad Assisi. Nessuna rinuncia alla Verità” (Ed. Fede&Cultura, pag. 144, € 12)</b> - gli autori ci guidano sui passi di Benedetto XVI per cercare di capire il senso degli incontri di Assisi e a guardarci da pericolose interpretazioni sincretistiche e relativiste, che minerebbero la verità della fede, che è Gesù Cristo, Verbo di Dio.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">La riflessione si sviluppa principalmente intorno al documento <i>Dominus Iesus</i> dell'anno 2000, un documento per cui il Card. Biffi ebbe a dire: “Che la congregazione per la dottrina della fede abbia ritenuto di dover intervenire con la dichiarazione ‘Dominus Iesus’ circa ‘l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù e della Chiesa’ è di una gravità senza precedenti: perché in duemila anni mai si era sentito il bisogno di richiamare e difendere verità così elementari”. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Anche il<b> </b>Card. Burke, nel suo intervento al Convegno “Pellegrini della Verità verso Assisi”, ha definito la <i>Dominus Iesus</i> “provvidenziale”, “infatti, molti – i fautori della discontinuità – ritenevano che col Vaticano II la Chiesa dovesse abbandonare il suo insegnamento assertivo e censorio, per limitarsi ad una descrizione dei dati di fede di tipo pastorale, lasciando così pullulare gli errori. Invece, il Magistero funge da guida per i fedeli, indicando loro la verità rivelata da custodire fedelmente e mettendoli in guardia dagli errori dottrinali e morali.”<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Oltre al Card. Burke intervengono in questo lavoro, Mons. Guido Pozzo, P. Serafino Lanzetta, Don Mauro Gagliardi, Don Alessandro Olivieri Pennesi, Don Nicola Bux, Don Manfred Hauke, Corrado Gnerre e Lorenzo Bertocchi.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Ciò che emerge dai contributi degli autori non è un voler dare a tutti i costi una lettura positiva degli incontri di Assisi, si cerca, invece, di rispondere a quesiti difficili che non possono essere risolti in modo sbrigativo. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Il prof. Gnerre, firmatario insieme ad altri di un appello al Santo Padre sui rischi degli incontri di Assisi, pur rimanendo convinto di questa sua adesione, ha detto: “il fatto che abbia firmato l’appello non mi impedisce però di formulare un augurio e nutrire una speranza per il 27 ottobre. La speranza che si tengano pienamente in considerazione le parole che Benedetto XVI pronunziò in occasione dell'udienza generale del 14 maggio 2008, evocando la figura di Dionigi l'Aeropagita: </span><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">«[</span><i><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">…</span></i><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">]<i> il dialogo non accetta la superficialità. Proprio quando uno entra nella profondità dell'incontro con Cristo si apre anche lo spazio vasto per il dialogo. Quando uno incontra la luce della verità, si accorge che è una luce per tutti; scompaiono le polemiche e diventa possibile capirsi l'un l'altro o almeno parlare l'uno con l'altro, avvicinarsi.”<o:p></o:p></i></span></div><div class="MsoBodyText2"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Per questo – ha concluso il prof. Gnerre - “si vada ad Assisi per incontrare la Luce… e non si dimentichi che questa Luce è venuta perché tutti l’accolgano”.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">D'altra parte questa era anche la convinzione di S. Francesco di Assisi che, come ricordava Giovanni Paolo II il 2 ottobre 1981, era ben consapevole che “il mistero della salvezza ci è rivelato ed è continuato e realizzato nella Chiesa, e da questa genuina ed unica fonte raggiunge, come acqua “umile, utile, preziosa e casta”, il mondo intero”.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">QUI è possibile acquistare il libro: </span><span class="apple-style-span"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';"><a href="http://fedecultura.com/Religioni_ad_Assisi.aspx" target="_BLANK">http://fedecultura.com/Religioni_ad_Assisi.aspx</a></span></span></b></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-90618385407259417342011-10-10T10:00:00.000-07:002011-10-10T10:00:57.428-07:00Don Nicola Bux: Lumen Gentium cum esset Christus<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEyhrE2oh72ndbY4gkSh1mT7ID5x1Mo6mjZ8cGnjeI9Ida5DtigutNqBF4ZH80Qzj5LEqEdgo2t-2a1_paBV7p5cH3ifJJkQaExSz396GENL4sV9BciH7UJG2cnvb7FVJlAormvYpEYUw/s1600/bux+convergno+0+10+2011+282.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="256" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEyhrE2oh72ndbY4gkSh1mT7ID5x1Mo6mjZ8cGnjeI9Ida5DtigutNqBF4ZH80Qzj5LEqEdgo2t-2a1_paBV7p5cH3ifJJkQaExSz396GENL4sV9BciH7UJG2cnvb7FVJlAormvYpEYUw/s320/bux+convergno+0+10+2011+282.jpg" width="320" /></a></div><br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">L'interessante intervento di Mons. Nicola Bux ha aperto una finestra su come gli incontri di Assisi siano stati erroneamente recepiti dal mondo cattolico. Emblematico a tal riguardo è l'esempio eclatante di cui parla: “Una targa bronzea nel porticato antistante la basilica inferiore di san Francesco d’Assisi recita: <i>Joannes Paulus II cunctis in orbis Dei cultoribus in spiritu et veritate convocatis</i>… ; pensavo che commemorasse un raduno mondiale di cristiani. Il culto 'in spirito e verità', dovrebbe essere quello fondato sul riconoscimento di Gesù Cristo, il Figlio nel quale Dio si è pienamente rivelato, ha fatto conoscere il suo volto... Invece la targa assisiana non si riferisce ai cristiani ma ai rappresentanti delle religioni convenuti il 2001 alla preghiera per la pace. Qualcosa è cambiato. </span></div><div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Quella lapide riporta una opinione diffusa tra i cattolici, che tutte le religioni riconoscano in fondo il medesimo Dio e lo adorino in spirito e verità”.</span></div><a name='more'></a> <o:p></o:p><br />
<div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Una tale interpretazione degli incontri di Assisi non lascia dubbi sulla deriva sincretista che colpisce il mondo cattolico: “i cristiani che adorano un Dio personale, riconosciuto presente, specialmente nel sacramento dell’altare, finiscono per retrocedere all’adorazione di un Dio impersonale o addirittura di altri déi. Questo pensiero non cattolico si è diffuso e confonde molti nella Chiesa”.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Le parole di mons. Bux palesano non solo la grande confusione che regna purtroppo nelle menti di molti cattolici, ma anche del fatto che tale confusione sia purtroppo veicolata da quanti dovrebbero pascere il gregge di Cristo e vigilare su di esso.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Ecco perché diventa sempre più urgente chiarire il significato autentico degli incontri di Assisi, l'unico che può essere compatibile con la confessione, essenziale per ogni cattolico, che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, l'unico Salvatore, fondatore dell'unica Chiesa cattolica, necessaria alla salvezza. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">E qual è questo significato? <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Mons. Bux lo spiega con chiarezza: “L’incontro delle religioni può avvenire nel punto originario individuato come il senso religioso..., il <i>desiderium naturale videndi Deum</i> che la Chiesa riconosce ...<i> </i>Tuttavia, si deve convenire con la riflessione dell'allora cardinale Ratzinger quando, riferendosi all’episodio di san Paolo sull’Areopago (<i>At </i>17,16-34), mette in guardia dall’ottimismo, perché da parte delle religioni è venuta anche una negazione decisa, allorché non hanno voluto accettare di proseguire il cammino o addirittura di voler tornare indietro nell’idea di Dio”. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Non le religioni dunque sono al centro dell'incontro di Assisi, ma l'uomo religioso, che manifesta ed incarna la propria religiosità in forme concrete, forme che non sono di certo vie di salvezza per coloro che le praticano.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Mons. Bux ha confermato più volte la sua totale fiducia nel fatto che papa Benedetto XVI, nella modalità con la quale dirigerà l'organizzazione di tale giornata, darà dei segnali chiari sulla sua vicinanza all'uomo religioso e sulla fiducia che esso possa collaborare per raggiungere degli obiettivi per una convivenza civile, ma nel contempo della sua distanza da ogni confusione sincretista o da atti cultuali che siano contrari al primo Comandamento.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Mons. Bux ha poi tenuto a precisare anche che anche “Giovanni Paolo II, col raduno di Assisi del 1986 non intendeva affatto diffondere l'indifferentismo relativistico: proprio lui, quattro anni dopo, nel 1990, ha scritto l'Enciclica <i>Redemptoris missio</i>, in cui afferma che una religione <i>non</i> vale l'altra (cfr <i>Redemptoris missio</i> n. 36). Quindi, né l'Onu delle nazioni, né una “Onu delle religioni” potrà realizzare una unità più vera di quella che la Chiesa manifesta, non per virtù propria ma del mistero di Cristo che si riflette su di essa: <i>Lumen gentium cum esset Christus </i>(LG n 1)”.<span class="Apple-style-span" style="font-size: medium;"><o:p></o:p></span></span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-59547679510264714412011-10-05T03:04:00.000-07:002011-10-06T06:22:55.913-07:00L'intervento del prof. don Manfred Hauke<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZNHTG7XD-XU5fgPgVd9PxoHv8hZvUTVkTLT4AJEzi2JMJQuLzpJ7aqwv8zQd6q3P4Uwgs2XalrabQJnYi2bonK3-t6gY5HKZwEb2VVdfPZ6unr3nysLSl4IXPMTGCc4_F1ObTli3E7ac/s1600/convergno+01+10+2011+266.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="291" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZNHTG7XD-XU5fgPgVd9PxoHv8hZvUTVkTLT4AJEzi2JMJQuLzpJ7aqwv8zQd6q3P4Uwgs2XalrabQJnYi2bonK3-t6gY5HKZwEb2VVdfPZ6unr3nysLSl4IXPMTGCc4_F1ObTli3E7ac/s320/convergno+01+10+2011+266.jpg" width="320" /> </a></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;">L'intervento del prof. Don Manfred Hauke, docente di Dogmatica e Patrologia alla Facoltà teologica di Lugano, ha fornito alcuni elementi fondamentali per potersi orientare all'interno della teologia delle religioni, che negli ultimi anni ha prodotto una grande quantità di pubblicazioni, non sempre conformi alla fede cattolica.<a name='more'></a></span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;">Il prof. Hauke ha ricordato che non è la prima volta nella storia che la Chiesa si trova a vivere in una situazione di pluralismo: già nel tempo antico i cristiani si trovavano a vivere in mezzo ad un pluralismo religioso molto vasto, che comprendeva i culti pagani, le religioni orientali, fino all'incontro, ai tempi di Giovanni Damasceno, con l'Islam. In tale contesto sono davvero abbondanti gli interventi dei Padri della Chiesa e degli scrittori ecclesiastici, che assumono per noi non solo e non tanto un ruolo informativo ma normativo. </span> </div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;">L'interesse per la posizione dei Padri nei confronti delle religioni a loro contemporanee è una nota caratteristica e costante della riflessione dell'attuale Pontefice Sommo, che ha sempre condiviso quel tratto fortemente contestatore dei Padri nei confronti dei culti pagani. Il prof. Hauke ricorda che per Joseph Ratzinger «il cristianesimo, nella sua teologia della storia della religione, non prende semplicemente la parte per il religioso, per il conservatore che si tiene alle regole delle sue istituzioni ereditate; il No cristiano agli dèi significa piuttosto un’opzione per il ribelle che osa uscire dalle abitudini a causa della coscienza: forse questo tratto rivoluzionario del cristianesimo è stato nascosto per troppo tempo sotto motti conservatori».</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><b><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;">Come può dunque essere riassunta la posizione dei Padri nei confronti del pluralismo religioso della loro epoca?</span></b></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;">La possibilità dell’uomo di essere salvato è reale, ma è allo stesso momento minacciata dal peccato e dall’azione del diavolo. Tale influsso negativo si mostra in particolare nella venerazione degli idoli, delle immagini che rappresentavano gli dèi pagani. Gli idoli vengono strettamente legati all’azione dei demoni. Testimone di questa lettura patristica della realtà pluralistica è la traduzione dei LXX del versetto 5 del Salmo 95: Omnes dii gentium daemonia (gli dèi delle genti sono demoni).</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;">Si tratta dunque sostanzialmente di una posizione piuttosto negativa: di certo non si trattava di una ricezione tout-court dell’eredità religiosa pagana. I vecchi culti, secondo i Padri, dovevano cedere all’adorazione del vero Dio e dell’unico Signore Gesù Cristo. Solo per alcuni punti singoli della religione pagana venivano messi in luce degli elementi positivi mentre i tanto citati “semi del Verbo” non erano cercati tanto nella religione quanto piuttosto nella riflessione filosofica.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;">Il tempo patristico è ben lontano dunque dal considerare le religioni pagane in quanto tali come portatrici di rivelazione divina. Per i Padri un “dialogo” sembrava possibile con singoli non-cristiani con lo scopo di aprirli a Cristo, e non tanto con le religioni stesse.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;">Per un approccio della teologia delle religioni che rimanga fedele alla tradizione patristica è quindi fondamentale un tratto che valorizzi la necessità di Dio, di Gesù Cristo e della Chiesa per la salvezza ed un tratto che riconosca l’adorazione dell’unico Dio nei “santi pagani” e la presenza del Verbo negli elementi di verità e di bontà presenti nelle religioni e filosofie. Tuttavia non sono questi elementi in sé ad aprire al Vangelo: dipende dal non cristiano individuale, da come egli raccoglie quegli elementi, arrivare ad una praeparatio evangelica e poter essere raggiunto dalla divina grazia.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;">Nell'interessante dibattito conclusivo del Convegno, il prof. Hauke ha inoltre ricordato come la modalità che il Santo Padre intende imprimere al prossimo incontro di Assisi, tenga presente proprio questo “no” normativo dei Padri; egli infatti non ha voluto nessuna preghiera in comune e nessuna preghiera secondo i vari riti, ma una preghiera silenziosa, dove il cuore di ciascuno possa aprirsi alle sollecitazioni dello Spirito Santo, secondo la propria rettitudine e buona volontà. I momenti in comune invece riguarderanno non un dialogo interreligioso con una finalità religiosa, bensì alcune problematiche concrete, quali la pace, la persecuzione religiosa, etc., che vedono coinvolte le stesse religioni in quanto fenomeni socialmente significativi.</span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-3269758196467753212011-10-04T15:40:00.000-07:002011-10-06T03:08:08.126-07:00L'intervento di P. Serafino Lanzetta<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4gem7C2yn1kHZb1x7FLf26sHZA7Xt7pAFfJz3J9ILnBOweMrp4jID5Wx6-Xow1zqxOl7vIJGmHcmRzVyc_0v9B6wcxTLNZTwzChIODfzxd3_78547qhWqpHYGk7azSWQIZVokIiJ5G7A/s1600/p.+lanzetta.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4gem7C2yn1kHZb1x7FLf26sHZA7Xt7pAFfJz3J9ILnBOweMrp4jID5Wx6-Xow1zqxOl7vIJGmHcmRzVyc_0v9B6wcxTLNZTwzChIODfzxd3_78547qhWqpHYGk7azSWQIZVokIiJ5G7A/s1600/p.+lanzetta.jpg" /></a></div><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">L’intervento iniziale del Convegno ha visto impegnato <b>P. Serafino Lanzetta</b>, professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice. La sua interessante relazione è stata centrata nella prospettiva della “Dominus Iesus” (<i>La Dominus Iesus: l'unicità salvifica di Cristo e della Chiesa</i>) , famoso documento della Congregazione della Dottrina della Fede che risale all’anno 2000, anno in cui era Prefetto l’allora Card. Ratzinger. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';">Dopo aver indicato come questo documento sia una risposta del Magistero ai problemi teologici del pluralismo religioso, P. Lanzetta è passato ad affrontare alcuni nodi importanti che emergono dalla “Dominus Iesus”.</span><br />
<a name='more'></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Egli ha messo in evidenza innanzitutto che “</span><span style="font-family: 'Trebuchet MS';"><i>mancando in questo variegato panorama teologico denunciato un concetto chiaro di “salvezza”, facilmente la si confonde con le sole aspirazioni umane di liberazione, di progresso, di una certa armonia e pacificazione intramondana. Per molti, il vero dialogo interreligioso, avrebbe raggiunto il suo scopo, quando avesse assicurato a tutte le diverse leadership religiose una convivenza pacifica, in un mondo per sé plurale.</i>” <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Questa eventuale “reciproca stima” – dice P. Lanzetta – “potrebbe essere un primo passo, ma certamente “non basta per rispondere alla domanda religiosa del “chi è Dio?, come posso incontrarLo?”<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Successivamente P. Lanzetta ha affrontato il tema del Convegno ponendo una considerazione molto importante: “</span><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';"><i>spesso, da cinquant’anni a questa parte grossomodo, si è generato un equivoco: il Cristianesimo, come ogni altra religione, non può pretendere l’assolutezza, perché nessuno può vantare di possedere la verità. La verità è sempre più in là di noi stessi. Sì, è vero: la verità ci trascende sempre perché la verità è Dio. Però, mentre ci trascende, non si smarrisce nei tentativi pluralisti di ricercarla. Rimane sempre una e identica.</i>” Ecco perchè c'è solo un possibile pellegrinaggio nella vita: quello che conduce alla verità, a Cristo, il quale viene incontro all'uomo dicendo "Io sono la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14,6)<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Il problema della verità non è un problema di “quantità, ma di essenza”: “<i>il cristiano</i> – spiega P. Lanzetta - <i>non è un cinico difensore di un titolo di superiorità rispetto agli altri; è piuttosto uno, che in quanto santificato dalla verità, vive in essa, è nella verità, e il suo rimanervi diventa possibilità perché anche altri vi si accostino</i>”. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Dopo un ampio ragionamento teologico, che si potrà apprezzare nella sua interezza negli atti del Convegno, è molto interessante la conclusione di P. Lanzetta: “</span><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';"><i>Oggi, nella nostra Chiesa, bisogna avere il coraggio, dopo tanti anni di tentativi dialogici, talvolta mal riusciti, di dire al mondo non che ci sono più religioni: questo è un dato sociologico, facilmente verificabile, ma che c’è un solo Dio, una sola religio vera, una sola mediazione salvifica. Fermarsi al pluralismo o giustificarlo in tutti i modi non dà ragione del vero problema. Allora non parlare più di pace? Sì, ma essere anche realisti: essa sarà sempre lontana fino a quando non saremo raggiunti da Colui che ha fatto dei due, dei giudei e dei greci, un solo popolo, abbattendo il muro di separazione, cioè l’inimicizia con Dio per mezzo della Croce.</i>”<o:p></o:p></span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-37053449359861845182011-10-03T23:49:00.000-07:002011-10-06T06:55:17.331-07:00Mons. Pozzo celebra la S.Messa che apre il Convegno<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEis74OVn9xWu9L2-K-5BeVnQMq7jD4xf208apCvbIB_PT44u7gd-TkotfClgIOU1zcSq5LitUIGr2UNmpxnOGhgYSYo0d6_ZBalVQFqqYx2kgNuxl2i63yAEMzvIDl-etVtRIekMaiwoU8/s1600/convergno+01+10++2011+112.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEis74OVn9xWu9L2-K-5BeVnQMq7jD4xf208apCvbIB_PT44u7gd-TkotfClgIOU1zcSq5LitUIGr2UNmpxnOGhgYSYo0d6_ZBalVQFqqYx2kgNuxl2i63yAEMzvIDl-etVtRIekMaiwoU8/s320/convergno+01+10++2011+112.jpg" width="214" /></a></div><span style="font-family: 'Trebuchet MS',sans-serif;"><b><br />
</b></span><br />
<span style="font-family: 'Trebuchet MS',sans-serif;"><b>Mons. Guido Pozzo</b> – Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei - ha celebrato in Rito Romano Antico la S.Messa di apertura della giornata di lavori del Convegno “Pellegrini della Verità verso Assisi”.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS',sans-serif;">Nell’omelia si è soffermato sulla compassione mariana, “porta che ci apre il cuore di Dio stesso”. “Non si può stare presso la Croce di Gesù se non si sta anche presso Maria. E’ proprio lì, ai piedi della Croce, che Maria è diventata Madre della Chiesa.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span style="font-family: 'Trebuchet MS',sans-serif;">Stare – ricorda Mons. Pozzo commentando la Parola di Dio – è espressione della fedeltà. E questo è il primo insegnamento importante di Maria in questo passo del Vangelo”.</span><br />
<a name='more'></a></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS',sans-serif;"><br />
</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS',sans-serif;">La celebrazione è stata accompagnata dallo splendido canto delle Suore Francescane dell’Immacolata che hanno davvero contribuito alla bellezza di una celebrazione che, pur nella sobrietà, porta sempre con sé il dono di facilitare il rapporto con il sacro e il soprannaturale.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS',sans-serif;">Mons Pozzo ha ricordato che “<i>la nostra vita è un pellegrinaggio. Ma verso quale meta? Verso quale traguardo? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso un mare in burrasca. (…) Anche noi siamo in questo pellegrinaggio, ma abbiamo accolto e ricevuto, per mezzo del dono della fede, la luce del mondo: Gesù Cristo Figlio Unigenito di Dio, pienezza della Verità.</i>”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span style="font-family: 'Trebuchet MS',sans-serif;"><i>L’incontro di Assisi</i> – conclude Mons. Pozzo - <i>non è un pantheon dove tutte le religioni si mescolano o si confondono o, addirittura si equivalgono fra loro, ma è un opportunità. Perché non solo la Chiesa Cattolica, ma anche le altre confessioni cristiane e le altre tradizioni religiose del mondo, e persino uomini di buona volontà che sono ancora in ricerca, si ritrovano, per così dire, nell’impegno comune a difendere e a promuovere le basi fondamentali dell'umana convivenza nel rispetto dell’ordine naturale e la ricerca della giustizia e la pace.</i>”</span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-3089189083855358292011-10-03T05:11:00.000-07:002011-10-21T12:36:53.999-07:00Interessante dibattito con un inedito<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhklXYavfJj8PTK-rznOJ0f08cH1CrGswaRiVDuDkPJklAgB3UayUuCWc6f6r2bVNhq56j_VVQfbkwA-bs2uAqXUABLONLrx5XGKZm7h09zV_fX-eCM7dXhLCkizB85iZmHyQLrtkeIQfg/s1600/burke.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhklXYavfJj8PTK-rznOJ0f08cH1CrGswaRiVDuDkPJklAgB3UayUuCWc6f6r2bVNhq56j_VVQfbkwA-bs2uAqXUABLONLrx5XGKZm7h09zV_fX-eCM7dXhLCkizB85iZmHyQLrtkeIQfg/s1600/burke.jpg" /></a></div><br />
<div style="margin: 0cm 7.5pt; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS'; font-size: 13.5pt;">“</span><i><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Il Santo Padre ha voluto sottolineare il concetto di pellegrinaggio verso la verità: non uno stare insieme per pregare insieme in un modo disparato con il rischio di confondere la fede rivelata soprannaturale con le credenze religiose umane e naturali, ma un camminare insieme verso l’unica Verità</span></i><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">”. Con queste parole il <b>Card. R.L. Burke</b> è intervenuto al Convegno “Pellegrini della Verità verso Assisi“, organizzato dall’Associazione Catholica Spes e tenuto il 1 ottobre a Roma, per evidenziare il significato della prossima giornata convocata il 27 ottobre ad Assisi.</span><br />
<span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';"></span><br />
<a name='more'></a><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';"> </span><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Durante i lavori del convegno si è sviluppato un dibattito interessante rispetto al modo in cui i fedeli cattolici possono avvicinarsi a questo incontro per la pace e la giustizia nel mondo. Questo tipo di eventi causa fondate preoccupazioni, infatti, ancora il Card. Burke rileva che<i>“non sono pochi i rischi che un tale incontro può sollevare quanto alla comunicazione mass-mediatica dell’evento di cui - come è chiaro - il Pontefice è ben cosciente. I mezzi della comunicazione mass-mediale diranno, anche solo con le immagini, che tutte le religioni si sono trovate insieme per chiedere a Dio la pace. Un cristiano poco formato nella fede può trarvi la conclusione gravemente erronea che una religione valga l‘altra e che Gesù Cristo è uno dei tanti mediatori di salvezza.”</i></span><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS'; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div><div style="margin: 0cm 7.5pt; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Questa preoccupazione è stata rilevata anche dagli organizzatori. Nell’introduzione ai lavori il coordinatore, Lorenzo Bertocchi, ha reso noto un interessante estratto di una <b>lettera personale del Santo Padre inviata lo scorso 4 marzo 2011 al pastore luterano, Prof. Peter Beyerhaus</b>. Quest’ultimo, infatti, in virtù di una lunga amicizia che risale ai tempi dell’insegnamento del Card. Ratzinger a Tubinga, nel febbraio scorso inviò una lettera al Santo Padre in cui manifestava la sua perplessità circa il rischio sincretistico di una nuova convocazione della giornata di Assisi. Per questo chiedeva a Benedetto XVI quali fossero le sue intenzioni nel parteciparvi. La risposta del Papa al prof. Beyerhaus era già stata richiamata, sebbene non letteralmente, in un’intervista allo stesso professore realizzata dal giornale tedesco “Kichliche Umschau” nell’aprile scorso. <o:p></o:p></span></div><div style="margin: 0cm 7.5pt; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Oggi, dopo aver ricevuto una autorizzazione da parte di Beyerhaus, gli organizzatori possono rendere noto il passaggio letterale richiamato nell‘intervista: <o:p></o:p></span><br />
<span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';"><br />
</span></div><div style="margin: 0cm 7.5pt; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">“<i>Comprendo molto bene<span class="apple-converted-space"> </span></i>- scrive Benedetto XVI il 4 marzo 2011 -<span class="apple-converted-space"> </span><i>la sua preoccupazione rispetto alla partecipazione all’incontro di Assisi. Però questa commemorazione doveva essere festeggiata in ogni modo e, dopo tutto, mi sembrava la cosa migliore andarvi personalmente per poter provare in tal modo a determinare la direzione del tutto. Tuttavia farò di tutto affinchè sia impossibile un interpretazione sincretista o relativista dell’evento ed affinchè rimanga che sempre crederò e confesserò ciò che avevo richiamato all’attenzione della Chiesa con la Dominus Iesus</i>”.</span><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS'; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span><br />
<span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';"><br />
</span><br />
<span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">(</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';">„Ihre Sorge angesichts meiner Teilnahme an dem Assisi-Jubiläum verstehe </span><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';">ich sehr gut. Aber dieses Gedenken mußte auf jeden Fall gefeiert werden, </span><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';">und nach allem Überlegen erschien es mir als das Beste, wenn ich </span><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';">selbst dort hingehe und damit versuchen kann, die Richtung des Ganzen zu bestimmen. Jedenfalls werde ich alles tun, damit eine synkretistische oder </span><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';">relativistische Auslegung des Vorgangs unmöglich wird und klar bleibt, daß </span><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';">ich weiterhin das glaube und bekenne, was ich als Schreiben „<i>Dominus Jesus</i>“ </span><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS';">der Kirche in Erinnerung gerufen hatte.“)</span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span lang="DE" style="font-family: 'Trebuchet MS';"><br />
</span></div></div><div style="margin: 0cm 7.5pt; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Dopo la S.Messa, celebrata nella forma extraordinaria da <b>Mons. Pozzo</b>, hanno preso avvio i lavori del convegno con un intervento di <b>P. Serafino Lanzetta</b> sull’unicità salvifica di Cristo e della Chiesa così come presentati dalla Dominus Iesus. A seguire <b>Don Mauro Gagliardi</b> ha puntualizzato l’interpretazione magisteriale e quella mass-mediale delle giornate di Assisi. L’intervento di <b>don Alessandro Olivieri Pennesi</b> ha fornito un chiaro quadro del cosidetto “<i>super-market religioso</i>” con particolare riferimento ai cosiddetti movimenti religiosi alternativi. Nel pomeriggio, dopo la già citata prolusione del Card. Burke, vi è stato l’intervento di <b>S.E. Mons. Hon Tai-Fai Savio</b> Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.</span><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS'; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div><div style="margin: 0cm 7.5pt; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Il dibattito conclusivo ha visto impegnati <b>Don Nicola Bux</b> (Noi adoriamo quello che conosciamo (Gv 4,22). Verità, Chiesa e salvezza), <b>Don Manfred Hauke</b> (“Semina Verbi”, oppure opera diabolica? I Padri della Chiesa sulle religioni pagane.) e il <b>prof. Corrado Gnerre</b> (Pellegrini della Verità verso Assisi).</span><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS'; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div><div style="margin: 0cm 7.5pt; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Nella lettera citata, inviata al prof. Beyerhaus, Sua Santità chiedeva all’amico di prestare totale fiducia nella sua persona sul fatto che si sarebbe impegnato ad evitare una flessione sincretista e relativista della giornata. <o:p></o:p></span></div><div style="margin: 0cm 7.5pt; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS';">Gli organizzatori del convengo e i relatori si sono trovati concordi, pur nella diversità delle prospettive, nell'esprimere la propria fiducia nel Santo Padre e a cooperare affinché queste sue intenzioni trovino effettiva realizzazione. Il convegno di oggi è stato un esempio in tale direzione. Nei prossimi giorni verranno redatte on-line delle brevi sintesi dei singoli interventi a cui seguirà la tempestiva pubblicazione degli atti grazie alla collaborazione delle edizioni Fede&Cultura di Verona.</span><span style="color: black; font-family: 'Trebuchet MS'; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-82869962727921573182011-09-06T01:21:00.001-07:002011-09-06T07:35:43.333-07:00<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3VgHFjuz1JmSQI1sNXIGfEQk1-QurmR4eryGLyRblLTgRlPoP7ljoqI5__oNqPcx1636NrCGxYuIT0CGZpOxMda96mUhIu95ef4i-CSP_rY9QVhWosETEtVzanZ8A5Ed0tRh_nxQYeXo/s1600/programma.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3VgHFjuz1JmSQI1sNXIGfEQk1-QurmR4eryGLyRblLTgRlPoP7ljoqI5__oNqPcx1636NrCGxYuIT0CGZpOxMda96mUhIu95ef4i-CSP_rY9QVhWosETEtVzanZ8A5Ed0tRh_nxQYeXo/s640/programma.jpg" width="571" /></a></div><div class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Il prossimo 27 ottobre ad Assisi si terrà la giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, il Santo Padre ha invitato a questo incontro i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, più in generale, tutti gli uomini di buona volontà. </span><br />
<a name='more'></a></div><div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Questa giornata prende il volto del pellegrinaggio, perché – così indica il comunicato stampa della Santa Sede - “ogni essere umano è, in fondo, un pellegrino in ricerca della verità e del bene” e così “nella misura in cui il pellegrinaggio della verità è vissuto autenticamente, esso apre al dialogo con l’altro, non esclude nessuno e impegna tutti ad essere costruttori di fraternità e di pace.” </span></div><br />
<div align="JUSTIFY" class="western"><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">In questo contesto sono ancora attuali alcune domande che il Cardinale Ratizinger poneva all’</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><i>Académie des Sciences Morales et Politiques </i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">a</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"> </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Parigi nel 1997</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><i>:</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"> “Come è possibile l'incontro nella diversità delle religioni e fra i contrasti che proprio oggi assumono spesso forme violente? Che tipo di unità può mai esserci? In quale misura si può almeno tentare di perseguirla?”</span></span></span></span><br />
<span style="color: black;"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><b><br />
</b></span></span></span></span></div><div align="JUSTIFY" class="western"><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">L’incontro </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><i>“Pellegrini della Verità verso Assisi. Un approfondimento sui passi di Benedetto XVI”</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">- proposto dall’Associazione Culturale Catholica Spes l’1 ottobre presso Casa Bonus Pastor a Roma - vuole approfondire queste domande per evitare il rischio sincretistico e relativistico che incontri di questo tipo possono generare. Perché – come ha ricordato il Card. Bertone – “sincretismo e relativismo </span></span><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">finiscono per distruggere, anziché valorizzare, la specificità dell'esperienza religiosa”.</span><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><b> </b></span></span></span><br />
<span style="color: black;"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><b><br />
</b></span></span></span></div><div align="JUSTIFY" class="western"><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Nella relazione del 1997 il Cardinale Ratzinger poneva un’altra domanda importante che riguarda il rapporto tra dialogo e missione. A questo proposito un occasione di approfondimento proviene da una riflessione che risale all’anno 2000: “</span><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">il dialogo nelle nuove concezioni ideologiche, penetrate purtroppo anche all'interno del mondo cattolico e di certi ambienti teologici e culturali, è l'essenza del "dogma" relativista e l'opposto della "conversione" e della "missione". (…) La stima e il rispetto verso le religioni del mondo, così come per le culture che hanno portato un obiettivo arricchimento alla promozione della dignità dell'uomo e allo sviluppo della civiltà, non diminuisce l'originalità e l'unicità della rivelazione di Gesù Cristo e non limita in alcun modo il compito missionario della Chiesa: "la Chiesa annuncia ed è tenuta ad annunciare, incessantemente Cristo che è la via, la verità e la vita (Gv 14,16) in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliato a sé tutte le cose" (Nostra Aetate, 2)” (Card. Ratzinger, Osservatore Romano 8/10/2000). </span></span></span> <br />
<span style="color: black;"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br />
</span></span></span></div><div align="JUSTIFY" class="western"><span style="color: black;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Sui passi di Benedetto XVI si propone quindi un approfondimento verso Assisi 2011 persuasi che “un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo” (Lettera di S.S. Benedetto XVI al Sen. Marcello Pera pubblicata in apertura del libro “Perché dobbiamo dirci cristiani”, Mondadori, 2008)</span></span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-2611123565891763962011-07-29T02:29:00.000-07:002011-09-06T02:38:43.563-07:00Ebrei e cattolici verso Assisi - Dibattito Card. Koch - Rabbino Capo Di Segni<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><i><b>La lingua del dialogo deve essere comune</b></i></span><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">di RICCARDO DI SEGNI</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Nell'<a href="http://paparatzinger4-blograffaella.blogspot.com/2011/07/ad-assisi-un-pellegrinaggio-della.html">"Osservatore Romano" del 7 luglio</a>, Sua Eminenza il Cardinale Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, ha proposto alcune riflessioni sul significato della <a href="http://magisterobenedettoxvi.blogspot.com/2011/01/pellegrinaggio-del-santo-padre-ad.html">Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo</a> che avrà luogo il 27 ottobre ad Assisi. </span></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Le riflessioni del Cardinale coinvolgono il dialogo interreligioso e nell'ultima parte dell'articolo vi sono dei riferimenti ai rapporti con l'ebraismo. Su questi punti vorrei tornare, perché si tratta di aspetti essenziali e decisivi del problema del dialogo e delle sue regole. Il Cardinale scrive che la croce di Gesù "si erge sopra di noi come il permanente e universale Yom Kippur", e "pertanto la croce di Gesù non è di ostacolo al dialogo interreligioso; piuttosto, essa indica il cammino decisivo che soprattutto ebrei e cristiani [...] dovrebbero accogliere in una profonda riconciliazione interiore diventando così fermento di pace e di giustizia nel mondo". Ferma restando la condivisione degli obiettivi di pace e giustizia, temo che queste parole, benché ispirate da fraternità e da buona volontà, se non vengono spiegate meglio, possano denunciare i limiti di un certo modo di fare dialogo da parte cristiana. Per capire l'impatto che queste parole possano avere su un lettore ebreo, è necessaria qualche spiegazione. Yom Kippur, il giorno dell'espiazione di istituzione biblica, è una data fondamentale del calendario liturgico ebraico. È il giorno in cui è concessa la remissione dei peccati. Nel passaggio tra ebraismo e cristianesimo, quest'ultimo ha ripreso alcune ricorrenze dell'ebraismo (come la Pasqua), integrandone il significato con gli elementi della sua fede. Questo non è successo però per tutte le ricorrenze ebraiche autunnali, tra cui il Kippur; una possibile spiegazione di questa assenza è che la fede cristiana ha assorbito in sé il valore espiatorio del Kippur, che non le è più necessario; ed è quello che dice qui il Cardinale parlando della Croce; ma d'altra parte il fedele ebreo che continua a celebrare il Kippur afferma implicitamente che per lui la Croce non è necessaria. Ma allora che cosa c'è di problematico nelle parole del Cardinale, che in apparenza non fa che affermare i principi della sua fede? Se fosse solo così, non sarebbe criticabile; non si può certo chiedere, nella cornice del dialogo, che uno dei due interlocutori rinunci o nasconda o eviti di testimoniare la sua fede, per un malinteso senso di rispetto nei confronti dell'altro; il dialogo presuppone la differenza. Ma il punto è che bisogna vedere cosa ci si fa con la differenza. Mi pare di cogliere nelle parole del Cardinale, in tutto il suo articolo, prima di tutto la necessità di dimostrare alla propria comunità che la necessità e l'urgenza del dialogo sono radicate nei principi della fede; e fin qui è un impegno lodevole, anche perché può esistere una minoranza di cattolici che non condivide ancora queste idee. Ma ben diversa è la sua proposta all'interlocutore ebreo di farsi indicare "il cammino decisivo" da simboli che non condivide. Tanto più quando questi simboli vengono presentati come sostituzioni, con valore aggiunto, dei riti e dei simboli in cui crede l'interlocutore. Il credente cristiano può certamente pensare che la Croce rimpiazzi in modo permanente e universale il giorno del Kippur, ma se desidera dialogare sinceramente e rispettosamente con l'ebreo, per il quale il Kippur rimane parimenti nella sua valenza permanente e universale, non deve proporre all'ebreo le sue credenze e interpretazioni cristiane come indici del "cammino decisivo". Perché allora veramente si rischia di rientrare nella teologia della sostituzione e la Croce diventa ostacolo. Il dialogo ebraico-cristiano soffre inevitabilmente di questo rischio, perché l'idea della realizzazione delle promesse ebraiche è base della fede cristiana; quindi l'affermazione di questa fede contiene sempre un'implicita idea di integrazione, se non di superamento della fede ebraica. Questo anche quando si dichiara, con il Concilio e Nostra aetate, che le promesse al popolo ebraico sono irrevocabili. Ma la propria differenza non può essere proposta all'altro come il modello da seguire. In questo modo si supera un limite che nel rapporto ebraico-cristiano può sembrare sfumato ma che deve essere invalicabile. Perlomeno non è un modo di dialogare che possa interessare gli ebrei. Per usare un'espressione oggi molto comune, è come passare dall'et et all'aut aut. La lingua del dialogo deve essere comune e il progetto deve essere condiviso. Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli ebrei il cammino della Croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2011)</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span><span style="color: black;"><b>Ebrei e cattolici verso il prossimo incontro di Assisi </b></span><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span><span style="color: black;"><i><b>Sicuramente la Croce non è un ostacolo</b></i></span><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><i><span style="font-weight: normal;"></span></i></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">di KURT KOCH</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Posso capire che il Rabbino Capo Di Segni abbia reagito in maniera così sensibile al mio articolo sulla "Giornata di riflessione, dialogo e preghiera" ad Assisi. Difatti, vi si menzionava un tema che non solo è pesantemente connotato dal punto di vista storico ma costituisce anche oggi una difficile questione nel dialogo ebraico-cattolico. Pertanto, desidero offrire brevemente le seguenti riflessioni.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Il mio articolo si rivolgeva ai lettori cristiani, a cui volevo far presente il loro compito di riconciliarsi anche e precisamente con l'ebraismo, compito che deriva dall'essenza stessa della fede cristiana. È nella logica di questa fede la centralità fondamentale della croce di Gesù come fulcro della riconciliazione tra Dio e gli uomini. Ma è anche per l'amore nutrito nei confronti dell'ebraismo e per l'amicizia, degna di riconoscenza, che mi è stata testimoniata dal Rabbino Capo Di Segni, che ho voluto far riferimento alla croce, dato che questa è stata a lungo considerata come un grande ostacolo alla riconciliazione tra cristiani ed ebrei. Volevo infatti mostrare che, partendo precisamente dall'evento della croce, i cristiani hanno il dovere di riconciliarsi con gli ebrei. Per i cristiani la croce non può essere "un ostacolo al dialogo interreligioso". Se i rappresentanti di altre religioni e soprattutto gli ebrei, la vedono in tal modo, non sta a me giudicare; ciò si iscrive piuttosto nella libertà della convinzione religiosa di ognuno. Non ritengo assolutamente che gli ebrei debbano vedere la croce come noi cristiani per poter intraprendere insieme il cammino verso Assisi. Il fatto che Yom Kippur rappresenti una data fondamentale nel calendario liturgico ebraico e che rivesta un'importanza centrale per la fede ebraica è per me fuori discussione e lo rispetto. A me stava a cuore semplicemente il compito comune della riconciliazione e della pace, sapendo bene che per entrambe la motivazione è diversa negli ebrei e nei cristiani. Tutto ciò che esula da questo rispetto reciproco contraddirebbe lo spirito nel quale Papa Benedetto XVI rivolge il suo invito a partecipare alla Giornata di Assisi.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Alla luce di ciò, non si intende pertanto sostituire lo Yom Kippur ebraico con la croce di Cristo, anche se i cristiani vedono nella croce "il permanente e universale Yom Kippur". Ecco che viene qui toccato il punto fondamentale, molto delicato, del dialogo ebraico-cattolico, ovvero la questione di come si possano conciliare la convinzione, vincolante anche per i cristiani, che l'alleanza di Dio con il popolo d'Israele ha una validità permanente e la fede cristiana nella redenzione universale in Gesù Cristo, in modo tale che, da una parte, gli ebrei non abbiano l'impressione che la loro religione è vista dai cristiani come superata e, dall'altra, i cristiani non debbano rinunciare a nessun aspetto della loro fede. Senz'altro, tale questione fondamentale occuperà ancora a lungo il dialogo ebraico-cristiano; qui può essere menzionata solo brevemente. Tuttavia, essa non è sicuramente un ostacolo al fatto che cristiani ed ebrei, nel reciproco rispetto davanti alle rispettive convinzioni religiose, s'impegnino a promuovere la pace e la riconciliazione e s'incamminino insieme, così, verso Assisi.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2011) </span></span></span></div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-1820186958542690412011-07-12T07:56:00.000-07:002011-09-06T07:56:42.278-07:00Nei crocevia difficili della storia<span class="Apple-style-span" style="background-color: white; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"></span></span><br />
<div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">di <u style="font-weight: bold;">Andrea Riccardi </u>(Comunità di Sant'Egidio)</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Osservatore Romano del 12/07/2011</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br />
</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Siamo a venticinque anni dall’evento di Assisi del 1986: il mondo è tanto cambiato. Allora la cultura occidentale considerava le religioni come una realtà che la modernità avrebbe spazzato via o ridotto agli angoli privati della vita. Il beato Giovanni Paolo II, al contrario, aveva intuito la forza pubblica delle religioni, nonostante la secolarizzazione. Sapeva che le religioni potevano essere attratte dalle passioni belliciste. Preoccupato per la guerra fredda, convocò i leader cristiani e delle religioni mondiali ad Assisi. Non mancavano modelli d’incontro tra religioni: spesso dialoghi, non rispettosi della sostanza di fede — che riposavano sull’idea di religioni in fondo tutte uguali — si erano alternati ad appelli dei leader religiosi per l’una o l’altra causa politica.</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Giovanni Paolo II era lontano da tali modelli. Volle Assisi come una giornata di preghiera e di silenzio, in cui non si discutesse o si negoziasse: diversa dai congressi interreligiosi. Niente di più lontano dalla circolante idea dell’Onu delle religioni. Il fulcro fu l’invocazione di pace: «Forse mai come ora nella storia dell’umanità — disse — è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il gran bene della pace».</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">L’evento stupì il mondo, colpito dall’immagine del Papa tra i leader religiosi. Qualcuno ne parlò come di uno spettacolo televisivo più che una seria discussione. C’era invece una bellezza di quell’immagine del 1986, che conquistò la gente. Anche la pace ha bisogno di toccare il cuore dei popoli, talvolta affascinati dalla guerra — come si vide dopo il 1989 con il risorgere delle passioni belliciste e il culto della guerra. L’evento del 1986 interpretò l’«estetica» della pace, forte di una carica spirituale. Fu — ha scritto Benedetto XVI — una «puntuale profezia». Ci volevano una tregua dello spirito e delle armi, richieste da Papa Wojtyła il 4 ottobre 1986 a Lione in un appello — troppo dimenticato — a politici e signori della guerra.</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Giovanni Paolo II respinse sempre chiaramente l’idea di Assisi come la manifestazione di una specie di interreligione, auspicata da circoli ristretti. La volle come la rappresentazione plastica di quanto il Vaticano II insegna con la <em>Nostra aetate</em>. Da subito, il Papa proclamò la sua fede in Cristo e disse il rispetto per le altre credenze. La sua idea era che, da quel momento, dovesse partire un movimento per coinvolgere i credenti delle varie religioni: «quell’evento — ha scritto all’Incontro internazionale di preghiera per la pace di Lisbona nel 2000 — non poteva rimanere isolato. Aveva, infatti, una forza spirituale dirompente: era come una sorgente da cui cominciavano a scaturire nuove energie di pace. Per questo ho auspicato che lo “spirito di Assisi” non si estinguesse, ma potesse espandersi per il mondo». Il Papa era convinto che tale spirito dovesse vivere nel quotidiano, come raccomandò per il sinodo libanese; ma pensava che ci fosse bisogno anche di momenti simbolici. Che un movimento dello spirito dovesse sorgere, lo si sente nella parole di commiato ad Assisi: «La pace attende i suoi artefici (…) La pace è un cantiere, aperto a tutti e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale».</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Infatti, scaturì un rinnovato impegno dei cattolici per la pace, con attenzione alla fondamentale dimensione della preghiera e ai rapporti con i seguaci delle diverse religioni. Ne emerse anche un concreto impegno per spegnere il fuoco della guerra in varie parti del mondo. È cresciuta, in venticinque anni, la consapevolezza che i cristiani hanno una «forza di pace» e non sono condannati alla passività o alla protesta verbale. Ricordo che, alla giornata di Assisi, si seppe della morte del presidente del Mozambico in un incidente e, in quel quadro, si avviò la mediazione tra belligeranti che avrebbe condotto alla pace nel Paese — dopo un milione di morti. Un senso spirituale del valore della pace conduceva a un’operosità concreta — non declamatoria — per vivere in pace tra diversi e per lenire tensioni e violenze. Sarebbe da scrivere una storia dell’impegno dei cristiani e della Chiesa per la pace tra gli anni Ottanta e la fine del secolo.</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">La locuzione «spirito di Assisi» ha avuto interpretazioni talvolta incerte o erronee; ma nel suo corretto significato illumina l’impegno della Chiesa nel servizio all’unità delle genti, che è anche comprensione e dialogo tra popoli credenti. Quando si parla di religioni, infatti, non si deve pensare a realtà uguali né da un punto di vista teologico, né sociologico e organizzativo. Esistono i popoli credenti, impregnati di tradizioni religiose che fanno riferimento a figure istituzionali o carismatiche. Un atteggiamento pacifico tra «religioni» vuol dire pace tra popoli credenti: espelle la violenza dai rapporti mutui, fa prendere coscienza che le reali diversità non fondano odio o disprezzo.</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Il movimento iniziato ad Assisi è continuato. Il mondo francescano, in tanti Paesi, se ne è fatto carico. La Comunità di Sant’Egidio organizza incontri annuali tra leader religiosi in differenti città del mondo nello spirito del 1986: da Roma a Varsavia nel 1989 (con un pellegrinaggio ad Auschwitz, a cui parteciparono i musulmani) a Malta, Gerusalemme, Lione, Bucarest (evento che aprì al viaggio di Giovanni Paolo II in quel Paese, come ha dichiarato il patriarca Daniel), fino a Cipro o altrove. In una delle sue lettere a questi incontri — per Palermo 2002 — il Papa scrisse che il 1986 «segnò l’inizio di un nuovo modo di incontrarsi tra credenti di diverse religioni: non nella vicendevole contrapposizione e meno ancora nel mutuo disprezzo, ma nella ricerca di un costruttivo dialogo in cui, senza indulgere al relativismo né al sincretismo, ciascuno si apra agli altri con stima, essendo tutti consapevoli che Dio è la fonte della pace». Così Giovanni Paolo II concluse: «Da allora, quasi prolungando lo “spirito di Assisi”, si è continuato ad organizzare queste riunioni di preghiera e di comune riflessione e ringrazio la Comunità di Sant’Egidio per il coraggio e l’audacia con cui ha ripreso lo “spirito di Assisi” che di anno in anno ha fatto sentire la sua forza in diverse città del mondo».</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Al cammino di Assisi si sono aggiunti vari leader religiosi e, specie dagli anni Novanta, parecchi non credenti: faccio l’esempio tra i molti del presidente portoghese Soares o di Jean Daniel, sensibili al tema della pace e del suo fondamento spirituale. Progressivamente l’incontro tra religioni e culture ha preso corpo, ruotando attorno alla giornata di preghiera e di silenzio, con un colloquio in cui ci si confrontasse in modo amichevole e ragionevole. Così l’evento di Assisi del 1986 è divenuto una manifestazione — non quotidiana ma «straordinaria» — di pace tra popoli credenti, ripetuta con cadenza annuale, sollecitatrice di comprensione a livello locale e nel quotidiano. Ha alimentato una reale amicizia tra credenti di varie religioni e tra questi e i laici. Infatti il «dialogo» non ha solo una portata intellettuale, ma suscita amicizia, fatto rilevante tra mondi e persone che si ignorano o sono tentati dalla contrapposizione.</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Giovanni Paolo II ha vissuto l’incontro con i seguaci delle diverse religioni nei suoi viaggi apostolici: «tutti i viaggi sono un po’ la continuazione di Assisi. E Assisi è già un fatto possiamo dire irreversibile (…) E si deve dire che Assisi era frutto di tanti viaggi», dichiarò di ritorno dall’Asia. Nel 1994, con il conflitto nei Balcani, il Papa è tornato ad Assisi con ebrei e musulmani — mancavano gli ortodossi — per pregare per la pace. Cinque anni dopo, ha guidato in piazza San Pietro un’assemblea di leader religiosi alla vigilia del grande giubileo: «Il compito che dovremmo affrontare — disse — sarà quello di promuovere una cultura del dialogo. Da soli e tutti insieme, dobbiamo dimostrare che la fede religiosa ispira la pace».</span></div><div style="margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Dopo il terribile attentato alle Torri Gemelle, nel 2002, l’idea di Assisi è sembrata a molti anacronistica o ingenua. Non era in corso uno scontro di religione e di civiltà? Papa Wojtyła, con un gesto solenne — dopo aver chiesto ai cattolici di digiunare l’ultimo giorno del Ramadan — volle di nuovo la preghiera ad Assisi. Si apriva un decennio di grande tensione, mentre — di fronte alla cieca violenza terroristica — l’accostamento benevolo tra religioni sarebbe stato tacciato di ingenuità. Osama bin Laden, in uno dei suoi proclami aggressivi, ha dichiarato: «loro vogliono il dialogo, noi la morte». Spesso si è affermato un atteggiamento liquidatorio verso il colloquio tra mondi religiosi.</span></div><div style="color: black; margin-bottom: 3px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Conviene sottolineare la via tracciata da Benedetto XVI con i suoi incontri dalla moschea blu di Istanbul alla sinagoga di Roma, che, in ottobre 2011, giungerà ad Assisi. Parlando a Napoli, nel 2007, all’incontro dei leader religiosi promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, il Papa ha affermato: «tutti siamo chiamati a lavorare per la pace e ad un impegno fattivo per promuovere la riconciliazione tra i popoli. È questo l’autentico “spirito di Assisi”, che si oppone ad ogni forma di violenza e all’abuso della religione quale pretesto per la violenza». La logica dello scontro non è il futuro dell’umanità. Ma bisogna orientare cuori e menti non allo scontro di civiltà, ma alla civiltà del vivere insieme: ciò richiede il coinvolgimento delle energie spirituali. Il Papa concludeva a Napoli: «Di fronte a un mondo lacerato dalla violenza, dove talvolta si giustifica la violenza in nome di Dio, è importante ribadire che mai le religioni possono divenire veicoli di odio (…) Al contrario, le religioni possono e devono offrire preziose risorse per costruire un’umanità pacifica, perché parlano di pace al cuore dell’uomo». Sarà la sfida di Assisi nel 2011, ma è anche quella del vivere insieme in pace tra genti di tradizione e identità differente. Nei crocevia difficili della storia, la Chiesa cattolica, mentre testimonia la sua fede in Gesù Cristo, unico Salvatore dell’umanità, serve l’unità delle nazioni, sperando di suscitare il senso della santità della pace e della vita umana nell’animo dei seguaci di tutte le religioni.</span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-44593521851918507672011-07-09T02:18:00.000-07:002011-09-06T07:33:06.981-07:00Anche alcuni non credenti pellegrini per la pace<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">di <u><b>Gianfranco Ravasi</b></u>, <br />
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio della Cultura<br />
</span></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Il 27 ottobre, <a href="http://magisterobenedettoxvi.blogspot.com/2011/01/pellegrinaggio-del-santo-padre-ad.html">ad Assisi</a>, accanto a Benedetto XVI e alla folla di rappresentanti delle varie confessioni cristiane e delle religioni del mondo, ci sarà anche un piccolo gruppo di cinque persone, pellegrini un po’ particolari e inediti nella città di san Francesco. </span></span></span></div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"><a name='more'></a></span></span></span></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">La loro presenza renderà per certi versi originale questo incontro rispetto ai precedenti voluti dal beato Giovanni Paolo II. Si tratta, infatti, di figure della cultura, della scienza, della filosofia che non appartengono a nessuna espressione religiosa codificata, anzi incarnano — sia pure con profili diversi — la moltitudine di coloro che non professano nessun credo e che, tuttavia, hanno una visione etica e umanistica dell’essere e dell’esistere. Queste persone, che rappresentano nella diversità delle loro lingue e origini la molteplicità delle terre e delle culture, hanno in comune una caratteristica che ben esprimeva uno scrittore agnostico contemporaneo, l’americano Cormac McCarthy quando, nel suo romanzo Sunset limited, dichiarava: «Chi fa domande vuole la verità. Mentre chi dubita vuole sentirsi dire che la verità non esiste».</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Questi non credenti, che hanno accettato con interesse di essere pellegrini per la pace e la giustizia accanto ai credenti, custodiscono certamente alcune risposte, concezioni e prospettive nella loro mente e nel loro cuore, ma desiderano rivolgere domande a chi crede, proprio per un confronto efficace attorno ai nodi fondamentali ove s’intrecciano e s’aggrovigliano i temi ultimi come vita e morte, verità e inganno, trascendenza e immanenza, bene e male, giustizia e violenza, pace e guerra, amore e dolore. È significativo notare che, invitata a far sentire la sua testimonianza e il suo appello ai credenti anche a nome degli altri suoi colleghi, sarà una particolare voce femminile, un’intellettuale considerata tra i maggiori esponenti della filosofia e della psicologia contemporanea, la francese di origine bulgara Julia Kristeva. Ebbene, essa ha tra l’altro dedicato — da non credente — pagine di straordinaria intensità e fragranza all’esperienza mistica di santa Teresa d’Avila, dimostrando così il desiderio profondo di interrogare una figura tanto originale e diversa.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">La presenza di questo gruppo ristretto — che evoca un orizzonte molto vasto e variegato di uomini e donne senza appartenenza religiosa esplicita, ma tesi a guardare oltre la superficie delle cose e la pelle dei corpi per intuirne significati più profondi — è stata voluta con convinzione e sostenuta proprio da Benedetto XVI, sulla scia di un’intuizione che era balenata nel suo spirito in occasione di un Natale, quello del 2009, quando incontrando i suoi più stretti collaboratori — ossia i membri della Curia romana — aveva dichiarato: «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “Cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero (…) Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto».</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">È da queste parole del Santo Padre che è sorto, in questi ultimi mesi, un «Cortile dei Gentili», cioè uno spazio di confronto — gli occhi negli occhi e con gli orecchi in ascolto — come accadeva nell’omonimo spazio riservato ai pagani, le gentes, i Gentili appunto, all’interno dell’area del tempio di Gerusalemme. Esso è stato promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura e inaugurato solennemente lo scorso marzo a Parigi, alla Sorbona, all’Unesco, all’Académie Française, nel piazzale di Notre-Dame, ma ormai è destinato a riproporsi ramificandosi nei mesi futuri in decine e decine di città (da Bologna a Bucarest, da Tirana a Barcellona, da Marsiglia a Praga, da Palermo al Quebec e a Washington e così via). La realtà spaziale di questo «Cortile» gerosolimitano comportava, però, non solo una distinzione, pur necessaria trattandosi di due concezioni ed esperienze differenti, ma anche una separatezza. Infatti, come è noto ed è attestato dallo storico Giuseppe Flavio, un muro divideva lo spazio dei pagani da quello degli israeliti, un muro sul quale campeggiava «un’iscrizione che proibiva agli stranieri sotto pena di morte l’ingresso» nell’area sacrale (Antichità Giudaiche, XV, 147). Era il segno di quella frontiera invalicabile che spesso ha diviso aspramente nei secoli credenti e negatori della fede o agnostici.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">È forse a questa barriera che alludeva san Paolo quando, scrivendo ai cristiani di Efeso, dichiarava che Cristo è venuto ad «abbattere il muro di separazione che divideva» Ebrei e Gentili «per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, riconciliando tutti e due in un solo corpo» (Efesini, 2,14-16). La realtà materiale del «Cortile» può, quindi, trasformarsi — sulla scia delle parole dell’Apostolo — in un simbolo che illustra emblematicamente anche quanto avverrà ad Assisi. Credenti e non credenti stanno certamente su territori ideali diversi, ma non si devono rinserrare in un isolazionismo sacrale o laico, ignorandosi o respingendosi, come vorrebbero i fondamentalisti di entrambi gli schieramenti. Certo, non si devono ignorare le discordanze dissolvendole in un vago sincretismo intellettuale e spirituale; ma i pensieri e le parole, le opere e le scelte di entrambi i protagonisti possono confrontarsi e persino incontrarsi, proprio come avviene attorno al tema della pace e della giustizia. Esso è il vessillo elevato ad Assisi davanti a coloro che considerano questi valori come dono divino e li invocano nella preghiera, cercandoli e praticandoli nel loro impegno religioso, morale e sociale. Ma è innalzato anche davanti a tutti coloro per i quali il cielo della trascendenza è spoglio; tuttavia, la coscienza e la vita di queste persone sono orientate e protese a essere fonte di impegno e di liberazione per una società umana più giusta.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Ad Assisi, dunque, attraverso la presenza inedita dei non credenti dallo spirito aperto e sincero, si intesserà un «dialogo» che, come suggerisce il termine greco, è un incontro di lógoi, di pensieri, di concezioni, di discorsi, di razionalità, ma è anche un «attraversamento» (dià), ossia un percorso che viene fatto all’interno di un lógos, una verità che ci precede e ci eccede. È un dialogo che viene condotto sulla soglia dell’assoluto di Dio per i credenti, ma nello stesso tempo sul «bordo insperato del visibile» alla ricerca dell’invisibile per il non credente, come affermava il poeta «agnostico» francese Yves Namur nella sua opera significativamente intitolata Dieu ou quelque chose comme ça («Dio o qualcosa di simile») pubblicata nel 2008. Un dialogo al quale entrambi i protagonisti portano il loro contributo di ricerca. Anche chi non si professa credente, ma è in cammino con la sua ragione, la sua arte, le sue energie intellettuali e umane nel grande orizzonte dell’essere, ha il suo dono da offrire al fedele. Si tratta di quella convinzione che animava già i Padri della Chiesa che non esitavano a mettersi in ascolto della voce della cultura pagana classica, consapevoli che persino in essa si annidavano i bagliori del Verbo, i suoi «semi» fecondi di verità.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Anzi, san Giustino non esitava a scrivere nella sua i Apologia che «del Lógos divino fu partecipe tutto il genere umano e coloro che vissero secondo il Lógos sono cristiani, anche se furono giudicati atei, come fra i greci Socrate ed Eraclito e altri come loro» (46, 2-3). La stessa incarnazione del Verbo, sia nella Bibbia sia in Cristo, dimostra questo passaggio di luce e di verità attraverso le diverse culture che non sono state mai materiali inerti, ma fecondi terreni di incontro tra Parola divina e parole umane. Stupenda in questa prospettiva è l’esclamazione di Isaia: «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia! Si apra la terra, fiorisca la salvezza e germogli insieme la giustizia!» (45,8). Questo incontro tra cielo e terra, tra trascendenza e storia sarà rappresentato nel comune pellegrinaggio di Assisi, ove anche chi non crede si affaccerà sull’orizzonte della fede per scorgere quello Sconosciuto che forse talora egli ha persino invocato, come faceva lo scrittore russo Aleksandr Zinov’ev: «Ti supplico, mio Dio, cerca di esistere! Vivere senza testimoni, quale inferno! Per questo, forzando la voce io grido, io urlo: Padre mio, ti supplico e piango: Esisti!».</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Per molti non credenti, infatti, Dio non è un vuoto nulla, ma un’assenza. E noi sappiamo bene che il posto libero di una persona che ci ha lasciati non è vuoto, perché l’assenza è la nostalgia o l’attesa di una nuova presenza. È per questo che non era così paradossale quello che scriveva un cattolico francese del secolo scorso, Pierre Reverdy: «Ci sono atei di un’asprezza feroce che tutto sommato si interessano di Dio molto più di certi credenti frivoli e leggeri». Si comprende, allora, come sia prezioso anche per noi avere accanto — come ha voluto Benedetto XVI — queste presenze autentiche e sincere, mentre riflettiamo, dialoghiamo e preghiamo per la pace e la giustizia nel mondo lungo le vie e le memorie di Francesco.</span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span></div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"><br />
(©L'Osservatore Romano 9 luglio 2011) </span></span></span> </div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-70130018503456709802011-07-08T02:10:00.000-07:002011-09-06T07:33:06.981-07:00L'impegno delle religioni in vista dell'incontro di Assisi<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">di <u><b>PETER KODWO APPIAH TURKSON</b></u>, <br />
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace<br />
</span></span></span></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Parlare dell’impegno delle comunità religiose per la giustizia e per la pace significa evocare la loro cooperazione in vista del bene comune della società, nel quadro di un loro dialogo. <a name='more'></a></span></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Mentre si poneva la domanda «con chi dialogare?», Paolo VI rispondeva: «Nessuno è estraneo al suo cuore (della Chiesa). Nessuno è indifferente per il suo ministero. Nessuno le è nemico, che non voglia egli stesso esserlo. Non invano si dice cattolica; non invano è incaricata di promuovere nel mondo lunità, l’amore, la pace» (Ecclesiam Suam, 98). Dopo aver affermato il principio della cattolicità, il Papa identificava tre cerchi concentrici di dialogo. Il primo di questi cerchi è il dialogo con l’umanità; il secondo fa riferimento ai credenti in Dio; il terzo rimanda ai fratelli cristiani separati.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Già al livello dell’umanità — primo cerchio — Paolo VI augurava che il dialogo si svolgesse al servizio della pace e si estendesse «dalle relazioni al vertice delle nazioni a quelle del corpo delle nazioni stesse e alle basi sia sociali, che familiari e individuali, per diffondere in ogni istituzione e in ogni spirito il senso, il gusto, il dovere della pace » (ibidem, 110). La stessa volontà di dialogo veniva affermata dal Pontefice a livello interreligioso, con i credenti in Dio — secondo cerchio (cfr. ibidem, 111-112) e, a livello ecumenico, con i fratelli cristiani separati — terzo cerchio (cfr. ibidem, 113-115). Paolo VI invitava inoltre a mettere in rilievo ciò che unisce i cristiani piuttosto che ciò che li divide. </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">A proposito specificamente del dialogo con gli altri credenti in Dio, Paolo VI pensava in particolare agli ebrei, ai musulmani e ai seguaci delle grandi religioni afro-asiatiche. Il concilio Vaticano II ha ripreso e allargato queste intuizioni di Paolo VI quando, nella costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, ha sottolineato l’importanza del dialogo con i fratelli cristiani separati, con i credenti e i non credenti — compresi i nemici della Chiesa — in quanto cooperazione alla promozione del bene comune, vale a dire alla costruzione del mondo nella pace (cfr. Gaudium et spes, 92).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Le culture e le religioni del mondo hanno tutte un patrimonio di valori e ricchezze spirituali da condividere le une con le altre, e che possono essere considerate come una preparazione a Cristo (cfr. Lumen gentium 16; Nostrae aetate, 2; Evangelii nuntiandi, 53 ; Catechismo della Chiesa cattolica, 843). Queste tradizioni spirituali e morali possono così permettere a un dialogo fecondo di ancorarsi su una piattaforma comune. È su tale piattaforma che può svilupparsi un dialogo sincero, nel pieno rispetto delle differenze e delle diversità delle tradizioni.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Ogni comunità religiosa è chiamata a coltivare il dialogo con le altre religioni, ad aprirsi all’ascolto, per poter camminare insieme nella pace e offrire ciò che ciascuna possiede di meglio per costruire un mondo più giusto e più solidale. Anche se non è sempre possibile intavolare un dialogo sul piano teologico o dottrinale, esistono comunque altre vie, che meritano di essere approfondite, in modo particolare esiste la via del dialogo sul piano della vita e delle opere (cfr. Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, istruzione Dialogo e annuncio: riflessioni e orientamenti, 19 maggio 1991). Come ogni dialogo, quello tra i seguaci delle religioni esige non solo che si sia disponibili e desiderosi di dialogare, ma anche che si sia umili, per mettersi all’ascolto dell’altro. Se questa apertura viene a mancare, nessun dialogo è possibile.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Il dialogo stesso suppone che gli interlocutori si accolgano e si accettino nella loro specificità, con le proprie ricchezze e le proprie debolezze. Questa è la via maestra del dialogo e della cooperazione al servizio del bene comune: rispettare l’altro, senza trascurare la propria identità, ma cercando di comprendere l’altro.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">I seguaci delle differenti religioni sono chiamati a unire i loro sforzi per rafforzare la solidarietà e la fraternità tra i popoli (cfr. Gaudium et spes, 92) lottando specialmente contro le cause delle ingiustizie e lavorando a trasformare le mentalità e le strutture che, purtroppo, sono spesso portatrici di peccato (cfr. Giovanni Paolo II, enciclica Sollicitudo rei socialis, 36; cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 566). Più in generale, bisognerebbe che i credenti s’impegnassero a eliminare le cause della povertà e a lavorare insieme all’autentico sviluppo dell’uomo. Come ho ricordato all’assemblea delle Nazioni Unite in occasione del vertice sugli Obiettivi del millennio per lo sviluppo (New York, settembre 2010), è contro la povertà che si deve combattere, e non contro i poveri.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">L’origine e l’obiettivo della lotta per un ordine giusto e solidale ai vari livelli della società è sempre la persona umana. Come la Chiesa insegna, la persona è titolare di diritti inalienabili in virtù della sua creazione a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Genesi, 1, 26-27). Ciò è a fondamento della sua dignità trascendente e intangibile, sacra. Difendere questa dignità quando viene conculcata significa difendere l’uomo e, nello stesso tempo, onorare Dio, di cui è immagine.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">In questo contesto merita un’attenzione speciale il diritto alla vita perché senza di esso è impossibile godere degli altri diritti. Lo stesso può essere ripetuto per il diritto alla libertà religiosa, fonte e fondamento degli altri diritti in quanto concerne ciò che è più intimo e segreto nell’uomo, vale a dire la sua coscienza. Non a caso il concilio Vaticano II insegna che, in campo religioso, nessuno può essere obbligato ad agire contro la propria coscienza (cfr. Dignitatis humanae, 2).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Parlare del diritto alla vita significa evocare nello stesso tempo il luogo dove questa sorge e cresce, vale a dire la famiglia, un’istituzione che si trova a essere oggi attaccata da più parti. Il diritto della persona a fondare una famiglia conformemente al disegno del Creatore, ad avere dei figli, a educarli secondo le proprie convinzioni religiose non può mai essere soggetto a negoziazioni strumentali. I poteri pubblici hanno l’obbligo di aiutare la famiglia perché possa essere il luogo dell’accoglienza e della crescita della vita, assicurandole protezioni giuridiche adeguate affinché riesca a contribuire al bene dei suoi membri e di tutta la società. Come il Papa Benedetto XVI ha ricordato durante il suo viaggio in Croazia: «L’apertura alla vita è segno di apertura al futuro, di fiducia nel futuro, così come il rispetto della morale naturale libera la persona, anziché mortificarla» (omelia, Zagabria, 5 giugno 2011; cfr. Caritas in veritate, 28). Tutte queste ragioni fanno sì che la difesa della vita e della famiglia costituisca uno dei campi privilegiati della collaborazione tra i seguaci delle diverse religioni.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Perché la cooperazione delle comunità religiose nel servire la giustizia e la pace sia feconda, occorre che siano evitate alcune trappole e siano superati certi ostacoli. La prima trappola è la strumentalizzazione della religione allo scopo di «mascherare interessi occulti, come ad esempio il sovvertimento dell’ordine costituito, l’accaparramento di risorse o il mantenimento del potere da parte di un gruppo» (Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2011, 7).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Spesso, questa trappola è conseguenza del fanatismo e del fondamentalismo che cercano d’imporre, con la forza e con la violenza, le proprie convinzioni agli altri, dimenticando che «la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore» come giustamente insegnato dal concilio Vaticano II (Dignitatis humanae, 1; cfr. ibidem, 10 e 11).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">La violenza in nome di Dio trova facilmente il suo radicamento in un contesto di cecità religiosa. Una forma di violenza particolarmente preoccupante è quella del fenomeno del terrorismo contro il quale il Papa Giovanni Paolo II ha pronunciato parole forti nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2002. Mentre riconosceva che «il reclutamento dei terroristi, infatti, è più facile nei contesti sociali in cui i diritti vengono conculcati e le ingiustizie troppo a lungo tollerate», aggiungeva: «Occorre, tuttavia, affermare con chiarezza che le ingiustizie esistenti nel mondo non possono mai essere usate come scusa per giustificare gli attentati terroristici» (ibidem, 5). Concludendo, faceva appello, in particolare, ai responsabili religiosi perché condannassero ogni violenza commessa nel nome di Dio. Essa è sempre un crimine (cfr. ibidem, 6).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Peraltro, oggi esistono forme subdole di violenza che sono una grave minaccia per la vita e l’avvenire dell’umanità. Basti pensare alla violenza contro il diritto alla vita, quale è diffusa e promossa da una mentalità antinatalista mediante più vie: contraccezione, aborto, legislazioni contrarie alla nascita, sterilizzazioni promosse nei Paesi poveri a opera di alcune organizzazioni non governative, controllo costrittivo delle nascite, eutanasia (cfr. Caritas in veritate, 28). È importante dunque che le comunità religiose — in nome del Dio fonte, autore e fine ultimo della vita — uniscano i loro sforzi per denunciare una tale mentalità a tutti i livelli, e per impegnarsi nella promozione e nella difesa della vita dal suo concepimento fino alla morte naturale. È in gioco il futuro della nostra umanità.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Il primo degli atteggiamenti fondamentali, senza il quale non può esserci né dialogo né autentica collaborazione tra i credenti, è la conoscenza approfondita dell’altro e delle diverse tradizioni religiose. Il «discorso della montagna» proclama: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo, 5, 9). La sola conoscenza teorica non basta, occorrono vie che aiutino ad attuare pratiche e collaborazioni specifiche. La pace e la giustizia non possono realizzarsi se non mediante istituzioni e relazioni positive, ossia attraverso persone che operano costantemente per il bene reciproco. Ma ciò dipende anche dall’apertura degli uomini e dei popoli al Signore, a quell’Unico che costruisce ed erige l’unità tra gli uomini, la giustizia e la pace.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laborant, qui aedificant eam — «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori» (Salmi, 127). Senza la preghiera non ci può essere né pace né vera giustizia. Ecco perché è importante pregare costantemente perché il Signore conceda alle comunità e ai popoli la pace e la giustizia che il mondo da solo non può assicurare. Poiché è Lui che, da qualsiasi popolo, può suscitare operatori di pace e di giustizia che abbiano il coraggio di compiere gesti per fare progredire la causa della giustizia e della pace nel mondo di oggi, degli uomini e delle donne di Dio che sappiano manifestare il suo genuino volto (cfr. Gaudium et spes, 19). «Pregare per la pace significa aprire il cuore umano all’irruzione della potenza rinnovatrice di Dio. Dio, con la forza vivificante della sua grazia, può creare aperture per la pace (...); può rafforzare e allargare la solidarietà della famiglia umana, nonostante lunghe storie di divisioni e di lotte. Pregare per la pace significa pregare per la giustizia, per un adeguato ordinamento all’interno delle Nazioni e nelle relazioni fra di loro. Vuol dire anche pregare per la libertà, specialmente per la libertà religiosa, che è un diritto fondamentale umano e civile di ogni individuo. Pregare per la pace significa pregare per ottenere il perdono di Dio e per crescere al tempo stesso nel coraggio che è necessario a chi vuole a propria volta perdonare le offese subite» (beato Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2002, 14).</span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"></span></span></span></div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"><br />
(©L'Osservatore Romano 8 luglio 2011)</span></span></span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-39567588734951529392011-07-07T02:02:00.000-07:002011-09-06T07:33:06.982-07:00Ad Assisi un pellegrinaggio della verità e della pace<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">di <u><b>KURT KOCH</b></u><br />
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani<br />
</span></span></span><br />
<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Benedetto XVI ha convocato una "<a href="http://magisterobenedettoxvi.blogspot.com/2011/01/pellegrinaggio-del-santo-padre-ad.html">Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo</a>" in occasione del venticinquesimo anniversario del primo "Incontro interreligioso per la preghiera per la pace". </span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"><a name='more'></a></span></span></span></div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Il 27 ottobre 2011 non potrà essere, però, una semplice replica dell'indimenticabile iniziativa intrapresa dal beato Giovanni Paolo II nel 1986, anche e soprattutto perché in questi venticinque anni il mondo è molto cambiato. La svolta più incisiva verificatasi nel frattempo è senza dubbio la fine dei regimi oppressivi comunisti nei Paesi oltrecortina, che ha mutato radicalmente la cartina esterna e interna dell'Europa e che è stata definita dall'allora cardinale Joseph Ratzinger come la vittoria della verità dello Spirito e della religione: "Lo Spirito ha dato prova della sua forza; lo squillo di tromba della libertà è stato più forte del muro che la voleva limitare" (J. Ratzinger, Wendezeit für Europa? Diagnosen und Prognosen zur Lage von Kirche und Welt, 106). La fine della cosiddetta guerra fredda, che, stando al giudizio di Mikhail Gorbaciov, non sarebbe stata possibile senza l'energia del beato Giovanni Paolo II, ha cambiato in maniera non indifferente anche la situazione ecumenica e interreligiosa.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> La grande svolta del 1989 in Europa ha fatto sì che, nel paesaggio ecumenico, soprattutto le Chiese ortodosse si siano trovate a occupare un posto di maggior rilievo nella consapevolezza di tutti i cristiani. Dal punto di vista della fede e dell'ecclesiologia, esse sono a noi molto vicine, seppure possa sembrare, a livello di storia e di cultura, che vi sia tra noi e loro una distanza ancora maggiore rispetto a quella con le comunità ecclesiali nate dalla Riforma. Ascoltare la voce dell'ortodossia è indispensabile se vogliamo compiere passi avanti anche nel superamento dei problemi riguardanti la divisione dei cristiani in Occidente. Ascoltare tale voce contribuirà soprattutto a un ampliamento verso est anche nell'ecumenismo, estremamente importante per il futuro sociale dell'Europa. Infatti, l'unificazione politica dell'Europa potrà realizzarsi soltanto se avverrà un ulteriore avvicinamento tra i cristiani in Oriente e in Occidente, ovvero se la Chiesa, in Occidente come in Oriente, imparerà di nuovo, come soleva ribadire il beato Giovanni Paolo II, a respirare con i suoi due polmoni.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Dal punto di vista interreligioso, dobbiamo prendere atto in primo luogo dei grandi movimenti migratori che hanno condotto a una ricca mescolanza della popolazione. Ciò significa soprattutto che le religioni diverse dalla nostra non vengono più percepite come fenomeni estranei, ma come realtà vicine, che sperimentiamo quotidianamente e che, nell'incontro con gli altri credenti, assumono un volto personale. Questo è vero in particolar modo per l'islam, che si articola al suo interno in molteplici forme e che, presente in numerosi Paesi europei da molto o da poco tempo, costituisce una religione in rapida crescita di fronte a una popolazione locale in diminuzione e in costante invecchiamento. Il dialogo interreligioso è dunque indispensabile per il prosperare di una convivenza pacifica nella società odierna. Questa nuova situazione interreligiosa ha fatto sì che la religione, spesso considerata dall'opinione pubblica come un fattore irrilevante o addirittura fastidioso, da relegare ai margini della vita sociale, sia tornata a essere un tema all'ordine del giorno nel dibattito pubblico. Tale sviluppo va letto come un fatto incoraggiante, poiché una società che si chiude al divino è una società incapace di condurre un dialogo interreligioso, come ha chiaramente osservato Benedetto XVI nel suo famoso discorso del 2006 presso l'Università di Regensburg, in Germania: "Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture".</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> L'incontro di Assisi del 27 ottobre 2011 si ricollega a tale aspetto fondamentale. Esso prende atto soprattutto del fatto che le grandi speranze di pace sorte a seguito del crollo dei regimi comunisti nel 1989 hanno cominciato a vacillare a causa dei successivi sviluppi, poiché il terzo millennio è stato segnato fin dall'inizio da una spaventosa recrudescenza di violenza e da spietati atti di terrorismo che non accennano a finire. In questa situazione, Benedetto XVI ritiene cruciale che le varie Chiese e comunità cristiane e i rappresentanti delle altre religioni diano nuovamente una testimonianza credibile e convinta a favore della pace e della giustizia nel mondo di oggi. Tutti i partecipanti sono invitati a un impegno personale nel dichiarare pubblicamente e nell'adoperarsi affinché la fede e la religione non s'imparentino in nessun modo con l'ostilità e la violenza, ma si accordino con la pace e la riconciliazione.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Questa visione è connaturale all'ecumenismo cristiano. Il movimento ecumenico, infatti, è fin dall'inizio un movimento di pace, che si pone al servizio della pace tra i fedeli cristiani e tra le comunità cristiane sul cammino della purificazione della memoria, del superamento delle cause delle molteplici divisioni tra i cristiani, del risanamento delle vecchie ostilità e del mutuo riconoscimento come fratelli e sorelle in Cristo, al fine di ricomporre la nostra unità in Cristo.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Sebbene il dialogo interreligioso non possa prefiggersi una simile unità, ma persegua il rispetto, la promozione della comprensione reciproca e la collaborazione solidale nella costruzione di un mondo pacifico e giusto, anche il dialogo interreligioso "sta o cade" con gesti concreti di riconciliazione, nella consapevolezza che la pace può sorgere soltanto là dove non l'odio e la violenza ma l'intesa e la pacifica collaborazione preparano la strada del futuro, ovvero là dove la pace è lo sforzo comune di tutte le religioni.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Ecco allora risplendere il vero motivo per cui il Papa ha scelto il riferimento al pellegrinaggio per l'incontro di Assisi, definendone il tema: Pellegrini della verità, pellegrini della pace. La pace è possibile soltanto là dove gli uomini, come autentici ricercatori di Dio, si mettono in cammino verso la verità. La pace, infatti, risiede nella verità, come ha sottolineato già Benedetto XVI nel suo primo messaggio per la Giornata mondiale della pace nel 2006: "Dove e quando l'uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace".</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> La storia mostra a sufficienza che la negazione della verità, o anche l'indifferenza davanti a essa, inietta il veleno della discordia nelle relazioni umane e che, inversamente, il vero incontro delle religioni è possibile non se si rinuncia alla verità, ma se si entra in essa profondamente. Alla luce di questa considerazione fondamentale, l'incontro di Assisi dovrebbe essere in primo luogo "una giornata di riflessione". La riflessione sulla pace, però, può produrre frutti non nello splendido isolamento dei singoli individui, ma nella ricerca comune della sua verità. Ecco perché il secondo termine che descrive l'incontro di Assisi è "giornata di dialogo". Poiché la pace, secondo l'origine ebraica del termine shalom, è in primo luogo un saluto, una parola di relazione, la riflessione sulla pace può avvenire soltanto nel dialogo, nello scambio tra credenti che discutono insieme di come hanno trovato la radice più profonda della pace nell'incontro con Dio e hanno dunque sperimentato una realtà che non può essere sconosciuta ai seguaci delle altre religioni. Solo se il dialogo interreligioso non si riduce a un semplice scambio di convenevoli, ma si prefigge la ricerca della verità, può diventare ascolto comune dell'unico Logos di Dio, che ci dona la pace malgrado le nostre divergenze, le nostre contraddizioni e perfino le nostre divisioni.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Per i credenti, infine, è naturale che una "giornata di riflessione e di dialogo" sia anche una "giornata di preghiera" per la pace. La preghiera, infatti, non è soltanto la primaria articolazione della fede; nella preghiera noi incontriamo anche il fulcro più profondo della pace, ovvero la pace del singolo individuo con Dio. Il raccoglimento nella pace con Dio, che è la fonte di ogni pace, o meglio che è la Pace, è il cammino decisivo da intraprendere per trovare la pace anche tra gli uomini, tra le nazioni e tra i popoli. Non è un caso che Gesù colleghi il suo incoraggiamento ad amare i nemici alla sua esortazione a pregare. La preghiera si rivela dunque come "centro di rianimazione" della riconciliazione. Soltanto il cammino verso la pace interiore con Dio dimostra di essere il cammino sul quale è possibile compiere anche azioni esteriori di pace tra gli uomini e tra i popoli.</span></span><span style="color: black;">Una simile "giornata di preghiera" non deve naturalmente essere fraintesa come un atto sincretistico. Piuttosto, ogni religione è invitata a rivolgere a Dio quella preghiera che corrisponde alla sua credenza specifica. Secondo la fede cristiana, la pace, a cui tanto anelano gli uomini di oggi, proviene da Dio, che ha rivelato in Gesù Cristo il suo disegno originario, ovvero il fatto di averci "chiamati alla pace"</span><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> (1 Corinzi 7, 15). </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Di questa pace, la lettera ai Colossesi dice che ci viene donata tramite Cristo, "con il sangue della sua croce" (1, 20). Poiché la croce di Gesù cancella ogni desiderio di vendetta e chiama tutti alla riconciliazione, essa si erge sopra di noi come il permanente e universale Yom Kippur, che non riconosce altra "vendetta" se non la croce di Gesù, come ha affermato Benedetto XVI con parole molto profonde, il 10 settembre 2006 a München: "La sua "vendetta" è la Croce: il "No" alla violenza, "l'amore fino alla fine"".</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Come cristiani, non veniamo certamente meno al rispetto dovuto alle altre religioni, ma al contrario lo cementiamo, se, soprattutto nel mondo di oggi in cui violenza e terrore sono usati anche in nome della religione, professiamo quel Dio che ha posto di fronte alla violenza la sua sofferenza e ha vinto sulla croce non con la violenza, ma con l'amore. Pertanto, la croce di Gesù non è di ostacolo al dialogo interreligioso; piuttosto, essa indica il cammino decisivo che soprattutto ebrei e cristiani, ma anche musulmani e seguaci di altre religioni, dovrebbero accogliere in una profonda riconciliazione interiore diventando così fermento di pace e di giustizia nel mondo. Affinché l'incontro di Assisi possa essere un passo fondamentale in questa direzione, rivolgiamo a Dio la nostra preghiera mentre ci prepariamo a questa grande e bella iniziativa voluta da Benedetto XVI. </span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> <br />
(©L'Osservatore Romano 7 luglio 2011) </span></span></span> </div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-22876020065266881602011-07-06T01:57:00.000-07:002011-09-06T07:33:06.982-07:00Le ragioni della pace e l'unico logos<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">di <u><b>William Joseph Levada</b></u></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Cardinale prefetto della Congregazioneper la Dottrina della Fede</span></span></span><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> </span></span></span></div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">L'annuncio che il prossimo 27 ottobre Benedetto XVI <a href="http://magisterobenedettoxvi.blogspot.com/2011/01/pellegrinaggio-del-santo-padre-ad.html">si recherà pellegrino ad Assisi</a> per una «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo» mostra che l'esperienza religiosa nelle sue diverse forme è oggetto dell'attenzione della Chiesa nel terzo millennio. </span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"><a name='more'></a></span></span></span></div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Di fronte all'attuale diffusione di ateismo e agnosticismo, occorre aiutare l'uomo a salvaguardare o a ritrovare la consapevolezza del suo legame elementare (re-ligio) con l'origine da cui proviene. Questa consapevolezza, che si fa naturalmente orante, è anche una condizione della pace e della giustizia nel mondo.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Nel suo libro-intervista del 1994, il beato Giovanni Paolo II ricordava l'incontro di Assisi del 1986, affermando che esso, insieme alle sue numerose visite nei Paesi dell'Estremo Oriente, l'aveva più che mai convinto che «lo Spirito Santo opera efficacemente anche fuori dell'organismo visibile della Chiesa». Nondimeno, ben consapevole della delicatezza dell'argomento, poco dopo quell'incontro, il 7 dicembre 1990, insegnava nella sua enciclica Redemptoris missio, che lo Spirito «si manifesta in maniera particolare nella Chiesa e nei suoi membri; tuttavia, la sua presenza e azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo». Richiamandosi al concilio Vaticano II, ricordava «l'opera dello Spirito nel cuore di ogni uomo mediante i “semi del Verbo”, nelle iniziative anche religiose, negli sforzi dell'attività umana tesi alla verità, al bene, a Dio», che prepara «a maturare in Cristo» (n. 28). Nella stessa enciclica, poi, non solo riaffermava la necessità e l'urgenza dell'annuncio della Buona Novella di Gesù, ma contrastava fortemente una «mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra i cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che una religione vale l'altra» (n. 36).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> In piena sintonia con questa preoccupazione vi è anche la riflessione teologica e pastorale di Joseph Ratzinger: già nel 1964 egli aveva manifestato l'intento di «definire con maggior precisione la posizione del cristianesimo nella storia delle religioni e così conferire di nuovo un senso più concreto alle enunciazioni teologiche sull'unicità e assolutezza del cristianesimo» (J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza. Il Cristianesimo e le religioni del mondo, 17). La Congregazione per la Dottrina della Fede, da lui guidata, riprenderà questo tema con la dichiarazione Dominus Iesus circa l'unicità e l'universalità di Gesù Cristo e della Chiesa. </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il documento, pubblicato il 6 agosto 2000, non mirava soltanto a confutare l'idea di una coesistenza interreligiosa nella quale le varie «credenze» sarebbero riconosciute come vie complementari a quella fondamentale che è Gesù Cristo (cfr. Giovanni 14, 6); intendeva, più profondamente, gettare le basi dottrinali di una riflessione sul rapporto fra il cristianesimo e le religioni. Per la sua relazione unica con il Padre, la persona del Verbo incarnato è assolutamente unica; l'opera salvifica di Gesù Cristo che si prolunga nel suo Corpo, la Chiesa, è anch'essa assolutamente unica in ordine alla salvezza di tutti gli uomini. Ad esercitare tale opera, tanto nei cristiani quanto nei non cristiani, è sempre e solo lo Spirito di Cristo che il Padre dona alla Chiesa «sacramento di salvezza»: perciò non vi sono, in ordine alla salvezza, vie complementari all'unica economia universale del Figlio fatto carne, anche se fuori della Chiesa di Cristo si trovano elementi di verità e di bontà (cfr. Nostra aetate, 2; Ad gentes, 9).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> L'incontro di Assisi ebbe una seconda edizione il 24 gennaio 2002. In quell'occasione il cardinale Ratzinger sentì il bisogno di chiarirne ulteriormente il significato, facendosi interprete di quanti si sono seriamente interrogati in proposito: «Si può fare questo? Non è che si dà alla maggior parte della gente la finta illusione di una comunanza che in realtà non esiste? Non si favorisce così il relativismo, l'opinione che in fondo siano solo differenze penultime quelle che si frappongono fra le «religioni»? Non s'indebolisce così la serietà della fede e in tal modo infine si allontana ulteriormente Dio da noi, non si rafforza il sentimento di essere lasciati soli?» (Fede, Verità, Tolleranza, 111). </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il lettore potrà rifarsi alle sue puntualizzazioni, che non hanno perso di attualità. Qui vogliamo piuttosto chiederci: perché mai, se era tanto attento ai possibili fraintendimenti del gesto del suo beato predecessore, Benedetto XVI ha ritenuto opportuno recarsi pellegrino ad Assisi in occasione di un nuovo incontro per la pace e per la giustizia nel mondo?</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Una prima indicazione la troviamo nel ricordo del cardinale Ratzinger riguardo all'incontro del 2002. All'indomani del raduno egli evocava la figura dell'uomo vestito di bianco, ormai anziano, seduto assieme agli altri sul treno per Assisi: «Uomini e donne, che nella vita quotidiana troppo spesso si fronteggiano l'un l'altro con ostilità e sembrano divisi da barriere insormontabili, salutavano il Papa, che, con la forza della sua personalità, la profondità della sua fede, la passione che ne deriva per la pace e la riconciliazione, ha come tirato fuori l'impossibile dal carisma del suo ufficio: convocare insieme in un pellegrinaggio per la pace rappresentanti della cristianità divisa e rappresentanti di diverse religioni» («30Giorni», 1/2002). La religione ben lungi dal distogliere dall'edificazione della città terrena, spinge anzi all'impegno per essa. Per noi cristiani, ciò significa anzitutto intercedere presso Dio, lasciando che altri, pur nella loro diversità -- credenti e non credenti, anch'essi invitati al prossimo incontro di Assisi -- si uniscano a noi nella ricerca della pace e della giustizia nel mondo. E, aggiungeva l'allora cardinale, «se noi come cristiani intraprendiamo il cammino verso la pace sull'esempio di san Francesco, non dobbiamo temere di perdere la nostra identità: è proprio allora che la troviamo» (ibidem). Non si tratta, insomma, di nascondere la fede a vantaggio di una superficiale unità, ma di confessare -- come allora Giovanni Paolo II e il Patriarca ecumenico -- che la nostra pace è Cristo, e che proprio perciò il cammino della pace è il cammino della Chiesa. Il volto del «Dio della pace» (Romani 15, 33), dice ancora Joseph Ratzinger, «si è fatto visibile a noi cristiani per la fede in Cristo» (ibidem). E questa pace è una pienezza non soltanto offerta e trasmessa (cfr. Giovanni 20, 19), ma da sempre già accolta dall'«Ecclesia sancta et immaculata» (Efesini 5, 27), insieme come dono e come compito nei confronti del mondo, che è «teatro della storia del genere umano» (Gaudium et spes, 2). Ce lo ricorda il concilio Vaticano II: «Obbedendo all'ordine di Cristo e mossa dalla grazia e dalla carità dello Spirito Santo, la Chiesa si fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli per condurli con l'esempio della vita, la predicazione e i sacramenti, alla fede, alla libertà ed alla pace di Cristo» (Ad gentes, 5). Poiché «tutti gli uomini sono chiamati all'unità con Cristo» (Lumen gentium, 3), la Chiesa deve essere fermento di quest'unità per l'umanità intera: non solo con l'annuncio della Parola di Dio, ma con la testimonianza vissuta dell'intima unione dei cristiani con Dio. È questa l'autentica via della pace.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il titolo scelto per la prossima Giornata di Assisi -- Pellegrini della verità, Pellegrini della pace -- ci offre una seconda indicazione: perché si possa realisticamente sperare di costruire insieme la pace, occorre porre a criterio la verità. «L'ethos senza il logos non tiene» (J. Ratzinger, Vi ho chiamati amici. La compagnia nel cammino della fede, 71). Istruito dalle dolorose esperienze delle ideologie totalitarie, il Papa aborrisce ogni forma di subordinazione della ragione alla prassi. Ma c'è ben di più. Il legame originario tra ethos e logos, e tra religione e ragione, si radica ultimamente in Cristo, il Logos divino: proprio perciò il cristianesimo è in grado di restituire al mondo questo legame, partecipando, come segno veritiero ed efficace di Gesù Cristo, alla sua unica missione di salvezza (cfr. Lumen gentium, 9). È dunque da rifiutare decisamente «quel relativismo che incide in gradi più o meno chiari sulla dottrina della fede e della professione di fede» (Vi ho chiamati amici, 71). Ma questo, lungi dal costituire una svalutazione delle diverse espressioni religiose o della dimensione etica, ne è anzi la valorizzazione: «Dovremmo cercare di trovare una nuova pazienza -- senza indifferenza -- gli uni con gli altri e per gli altri; una nuova capacità di lasciar essere ciò che è altro e l'altra persona; una nuova disponibilità a differenziare i piani dell'unità e, dunque, a realizzare gli elementi di unità che sono possibili ora» (ibidem). Non è possibile la pace senza la verità e viceversa: l'attitudine alla pace costituisce un autentico «criterio di verità» (J. Ratzinger, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, 79).</span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> <br />
(©L'Osservatore Romano 6 luglio 2011) </span></span></span> </div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-43807317719443590162011-07-04T01:53:00.000-07:002011-09-06T07:32:36.019-07:00L'incontro di Assisi tra riflessione e preghiera<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">di <u><b>JEAN-LOUIS TAURAN</b></u><br />
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso<br />
</span></span></span><br />
<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il 27 ottobre sarà celebrato, com'è noto, il venticinquesimo anniversario della storica "Giornata di preghiera per la pace nel mondo", voluta, ad Assisi, nel 1986, dal beato Giovanni Paolo II. </span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"><a name='more'></a></span></span></span><br />
<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">Tale grande iniziativa non dovrebbe far dimenticare altri due eventi che lo stesso Pontefice promosse nella città di san Francesco: la "Giornata mondiale di preghiera per la pace nei Balcani", il 23 gennaio 1994, e la "Giornata di preghiera per la pace nel mondo", il 24 gennaio 2002, in un momento di preoccupante tensione internazionale. </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il venticinquesimo anniversario - <a href="http://magisterobenedettoxvi.blogspot.com/2011/01/pellegrinaggio-del-santo-padre-ad.html">al quale Benedetto XVI ha voluto dare come tema Pellegrini della verità, pellegrini della pace</a> - verrà celebrato e vissuto nel segno della riflessione, del dialogo e della preghiera.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> La riflessione, il silenzio, la presa di distanza sono compagni necessari di ogni vero dialogo: se dovessero mancare, questo processo rischierebbe di impoverirsi e di ridursi a uno scambio di idee, con poco o senza spessore spirituale e intellettuale. Ancora una volta ci chiederemo: perché i cristiani si impegnano a dialogare con persone e comunità di altre religioni? Un primo motivo è che siamo tutti creature di Dio e, quindi, fratelli e sorelle. Il fatto, poi, che Dio è all'opera in ogni persona umana, la quale già attraverso l'uso della ragione può presentire l'esistenza del mistero di Dio e riconoscere valori universali, costituisce un secondo motivo. Esiste infine un terzo motivo: individuare nelle diverse tradizioni religiose il patrimonio di valori etici comuni che consente ai credenti di contribuire, come tali, in particolare all'affermazione della giustizia, della pace e dell'armonia nelle società delle quali sono membri a pieno titolo. </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Tale riflessione richiede tempo, scambio di vedute, onestà intellettuale e umiltà. Non è raro che gli interrogativi che sorgono nei partner del dialogo richiedano un tempo di studio, di riflessione e anche uno scambio all'interno di uno stesso gruppo religioso in dialogo. La Giornata del 27 ottobre prossimo favorirà, senz'altro, tale riflessione, sia a livello personale che collettivo. Il dialogo che la Chiesa cerca di instaurare con credenti di altre religioni, ma anche con ogni persona in ricerca dell'Assoluto, si colloca nella scia del particolare dialogo di Dio con l'umanità attraverso il suo Verbo fattosi uomo: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo" (Ebrei, 1, 1-2). Tale dialogo è portato avanti, cercando sempre di conciliare verità e carità (cfr. Efesini, 4, 15).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il dialogo non è una conversazione tra responsabili religiosi o credenti di varie religioni; non è una trattativa di tipo "diplomatico"; non è terreno di marchandage e, meno ancora, di compromessi; non è motivato da interessi politici o sociali; non cerca né di sottolineare le differenze né di cancellarle; non mira a creare una religione globale, accettata da tutti; non è promosso per sola iniziativa personale, né come hobby; non indulge alla tentazione dell'ambiguità dei concetti e delle parole.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il dialogo vero, invece, è uno spazio per la testimonianza reciproca tra credenti appartenenti a religioni diverse, per conoscere di più e meglio la religione dell'altro e i comportamenti etici che ne scaturiscono. Ciò permette, allo stesso tempo, di correggere immagini errate e superare preconcetti e stereotipi su persone e comunità. Si tratta di conoscere l'altro come è e, quindi, come ha il diritto di essere conosciuto, non come si dice che è e, meno ancora, come si vuole che sia. Dalla conoscenza diretta e obiettiva dell'altro si incrementano il rispetto e la stima reciproci, la mutua comprensione, la fiducia e l'amicizia.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Sono ben conosciute le quattro modalità principali, secondo le quali i credenti sono chiamati a dialogare: il dialogo della vita (condivisione delle gioie e delle prove della vita quotidiana); il dialogo delle opere (collaborazione in vista della promozione dello sviluppo integrale dell'uomo); il dialogo teologico, quando è possibile (comprensione delle rispettive eredità religiose); il dialogo dell'esperienza religiosa (condivisione delle mutue ricchezze spirituali).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Nella Giornata del 27 ottobre, non mancheranno gli spazi di dialogo, sia formali che informali. Il primo momento, formale, sarà costituito dalla commemorazione dell'incontro del 1986, come pure di quelli del 1994 e del 2002 e da un approfondimento del tema della Giornata: Pellegrini della verità, pellegrini della pace. Oltre al Santo Padre, interverranno esponenti di alcune delle delegazioni presenti. Un significativo momento di dialogo sarà pure costituito dall'adesione all'impegno preso il 24 gennaio 2002 a favore della pace. Tutti rinnoveranno gli impegni manifestati quel giorno: "Ci impegniamo a... ". Il contenuto di tale "Decalogo" si è dimostrato profetico e conserva ancora oggi tutta la sua attualità. Basti ricordare il secondo impegno: "Noi ci impegniamo a educare le persone al rispetto e alla stima reciproci, in modo che si possa raggiungere una coesistenza pacifica e solidale tra i membri di etnie, culture e religioni differenti".</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Va da sé che la preghiera accompagna sempre l'inizio, lo svolgimento e la conclusione di ogni azione del cristiano. Tra il dialogo con Dio - la preghiera - e quello con gli altri c'è un rapporto quasi naturale. Questo è vero in particolare nel delicato campo del dialogo tra credenti di diverse religioni. Il cristiano impegnato nel dialogo ha sempre bisogno di luce, di discernimento, di prudenza e di coraggio, doni dello Spirito Santo.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Nel dialogo, i cristiani sono anche chiamati a dare testimonianza dello spirito di preghiera che li anima. La preghiera è una delle dimensioni nelle quali il cristiano consente agli altri di vedere le sue opere buone e di rendere gloria al suo Padre che è nei cieli (cfr. Matteo, 5, 16).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> I nostri colloqui con i partner musulmani del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso iniziano sempre con un momento di preghiera che può essere attuato sia con un tempo di silenzio, sia con la lettura di un brano del Vangelo e del Corano. Anche i pasti, momenti di fraterna convivialità, sono preceduti da momenti di preghiera silenziosa o da una "invocazione" teologicamente accettabile da ambedue le parti. È tuttora vivo il ricordo della preghiera del beato Giovanni Paolo II a conclusione del suo discorso ai giovani musulmani del Marocco, a Casablanca, il 19 agosto 1985: "O Dio, tu sei nostro Creatore. Tu sei buono e la tua misericordia è senza limiti. A Te la lode di ogni creatura. O Dio, tu hai dato a noi uomini una legge interiore di cui dobbiamo vivere. Fare la Tua volontà e compiere il nostro compito. Seguire le Tue vie e conoscere la pace dell'anima. A Te offriamo la nostra obbedienza. Guidaci in tutte le iniziative che intraprendiamo sulla terra. Liberaci dalle nostre tendenze cattive che distolgono il nostro cuore dalla Tua volontà. Non permettere che invocando il Tuo nome, giustifichiamo i disordini umani. O Dio, Tu sei l'unico. A Te va la nostra adorazione. Non permettere che ci allontaniamo da Te. O Dio, giudice di tutti gli uomini, aiutaci a far parte dei tuoi eletti nell'ultimo giorno. O Dio, autore della giustizia e della pace, accordaci la vera gioia, e l'autentico amore, nonché una fraternità duratura tra i popoli. Colmaci dei Tuoi doni per sempre. Amen!".</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> La Giornata del 27 ottobre comporterà momenti di preghiera, intesa come dialogo di ogni credente con Dio o con l'Assoluto, ciascuno secondo la propria tradizione religiosa o la sua ricerca della verità. Il pellegrinaggio stesso, in questo caso ad Assisi, esprime la "ricerca della verità e del bene". Il credente è "sempre in cammino verso Dio", è un pellegrino della verità, come è pellegrino ogni uomo che si sente "sulla strada della ricerca della verità".</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Se "l'immagine del pellegrinaggio riassume (...) il senso dell'evento che si celebrerà", ciò significa che la preghiera sarà un elemento portante della Giornata del 27 ottobre. Il viaggio da Roma ad Assisi, pur essendo un'occasione di conoscenza reciproca e di dialogo informale tra i partecipanti, potrà essere anche un tempo di riflessione e di preghiera. Un momento di preghiera personale e di riflessione seguirà il pranzo condiviso nel segno della fraternità e della frugalità. Il cammino-pellegrinaggio pomeridiano in silenzio verso la basilica di San Francesco, offrirà anch'esso spazio alla preghiera e alla meditazione personale. Per i cattolici, significativa sarà la veglia di preghiera presieduta dal Santo Padre con i fedeli della diocesi di Roma nella basilica papale di San Pietro, la sera precedente. L'invito alle Chiese particolari e alle comunità di tutto il mondo di organizzare analoghi momenti di preghiera illustra l'importanza della preghiera in questa Giornata.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> In occasione dell'udienza generale del 14 maggio 2008, evocando la figura di Dionigi l'Aeropagita, Benedetto XVI ha affermato: "Si vede così che il dialogo non accetta la superficialità. Proprio quando uno entra nella profondità dell'incontro con Cristo si apre anche lo spazio vasto per il dialogo. Quando uno incontra la luce della verità, si accorge che è una luce per tutti; scompaiono le polemiche e diventa possibile capirsi l'un l'altro o almeno parlare l'uno con l'altro, avvicinarsi. Il cammino del dialogo è proprio l'essere vicini in Cristo a Dio nella profondità dell'incontro con Lui, nell'esperienza della verità che ci apre alla luce e ci aiuta ad andare incontro agli altri: la luce della verità, la luce dell'amore. E in fin dei conti ci dice: prendete la strada dell'esperienza, dell'esperienza umile della fede, ogni giorno. Il cuore diventa allora grande e può vedere e illuminare anche la ragione perché veda la bellezza di Dio".</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Sorge spontaneo l'auspicio che tutti i partecipanti alla <a href="http://magisterobenedettoxvi.blogspot.com/2011/01/pellegrinaggio-del-santo-padre-ad.html">Giornata di Assisi del 27 ottobre</a>, nonché le numerose persone e comunità di credenti che a essi si uniranno, comprendano meglio il significato di quanto affermato nella Dichiarazione Nostra aetate: "La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini" (n. 2). </span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> <br />
(©L'Osservatore Romano 4-5 luglio 2011) </span></span></span> </div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-34650361162573627972011-07-03T01:48:00.000-07:002011-09-06T07:33:06.983-07:00Da Assisi 1986 ad Assisi 2011 il significato di un cammino<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"><u><b>di Tarcisio Bertone </b></u></span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"><br />
</span></span></span><br />
<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il 25 gennaio del 1986, della messa celebrata nella basilica di San Paolo fuori le Mura, il beato Giovanni Paolo II pronunciò un appello, nel contesto dell'Anno internazionale della pace indetto dall'Onu, rivolto non solo ai cattolici o ai credenti in Cristo, ma anche agli appartenenti alle diverse religioni del mondo e a tutti gli uomini di buona volontà, affinché da tutti venisse invocato con insistenza il dono della pace. </span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"><a name='more'></a></span></span></span></div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">«La Santa Sede desidera contribuire a suscitare un movimento mondiale di preghiera per la pace che, oltrepassando i confini delle singole Nazioni e coinvolgendo i credenti di tutte le Religioni, giunga ad abbracciare il mondo intero» (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1986, vol. i, p. 198).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Nella medesima circostanza, il Papa annunciava di voler farsi promotore di uno speciale incontro, che si sarebbe tenuto in Assisi, aperto ai responsabili delle Chiese, delle comunità cristiane e delle principali religioni del mondo. Il raduno, che ebbe luogo il 27 ottobre 1986, trovò vastissima risonanza presso l'opinione pubblica mondiale.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Ciò che a prima vista catalizzò l'attenzione e l'immaginazione di molti fu il vedere, forse per la prima volta nella storia, tanti esponenti delle principali religioni radunati insieme.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> A uno sguardo più attento, tuttavia, si poteva cogliere con chiarezza le intenzioni profonde che avevano guidato il grande Pontefice: in primo luogo, mettere in luce la dimensione intrinsecamente spirituale della pace, di fronte a un clima culturale che tendeva a relegare nella marginalità il fenomeno religioso. Le componenti della pace sono molteplici e la sua costruzione necessita certamente dell'impegno in campo politico, sociale, economico, da parte di Governi, organizzazioni internazionali, società civili. Tuttavia rimane vero che la pace è, primariamente e fondamentalmente, una realtà che va costruita nei cuori, che nasce dalle aspirazioni più alte dell'uomo.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> In secondo luogo, il radunarsi di leader di religioni diverse, poneva ciascuno di essi di fronte alla responsabilità che le proprie credenze religiose si traducessero, sul piano personale e comunitario, nel senso di una effettiva costruzione della pace. È ben noto, infatti, come nella storia l'appartenenza religiosa sia stata spesso anche strumentalizzata quale elemento di contrapposizione e di conflitto.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> L'incontro del 1986 valorizzò tre elementi spirituali presenti, seppure in forme diverse, in quasi tutte le tradizioni religiose: la preghiera, il pellegrinaggio, il digiuno.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Giovanni Paolo II spiegò chiaramente il senso del ritrovarsi a pregare nella stessa città: «Il fatto che siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. E neppure è una concessione al relativismo nelle credenze religiose» (<a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1986/october/documents/hf_jp-ii_spe_19861027_prayer-peace-assisi_it.html">Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1986, vol. ii, p. 1252</a>).</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Quest'ultimo punto era di capitale importanza: il relativismo o il sincretismo, infatti, finiscono per distruggere, anziché valorizzare, la specificità dell'esperienza religiosa.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Su questo aspetto si è tornati più volte in seguito, anche a motivo di interpretazioni superficiali, che non sono mancate, di quel primo incontro di Assisi. </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Nella lettera inviata al vescovo di Assisi per il XX anniversario dell'evento, Papa Benedetto XVI ricorderà che «è doveroso [...] evitare inopportune confusioni. Perciò, anche quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni. Fu questa la scelta del 1986, e tale scelta non può non restare valida anche oggi. La convergenza dei diversi non deve dare l'impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla» (<a href="http://press.catholica.va/news_services/bulletin/news/18749.php?index=18749&po_date=04.09.2006&lang=en">Messaggio a monsignor Domenico Sorrentino, 2 settembre 2006, Insegnamenti di Benedetto XVI, 2006, vol. ii, p. 190</a>).</span></span><span style="color: black;"><i><span style="font-weight: normal;">È questa l'interpretazione corretta dello «spirito di Assisi»</span></i></span><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;">, spesso invocato nel contesto delle iniziative di dialogo e di incontro tra appartenenti a tradizioni religiose differenti, moltiplicatesi a seguito del raduno del 1986, il quale, per parte sua, rimane un evento in qualche modo unico: momento forte di condivisione spirituale, vissuto in semplicità e fraternità, gli atteggiamenti tipici di san Francesco, che ancora oggi si respirano nella sua città natale.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Diventò così spontaneo guardare nuovamente ad Assisi in un momento particolarmente delicato e drammatico della storia recente, quello seguito agli attentati terroristici dell'11 settembre 2001.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> All'inizio del nuovo millennio, forse proprio nel momento in cui, dopo la fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti, più forte era l'attesa per l'affermarsi di un'era di maggiore pace, nubi minacciose venivano improvvisamente a oscurare le speranze di molti.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Giovanni Paolo II diede allora nuovamente appuntamento nella città di san Francesco ai responsabili delle comunità cristiane e delle religioni del mondo, non solo per rendere visibile la condanna, da parte di tutti gli uomini religiosi, del terrorismo di matrice fondamentalista, ma anche per testimoniare che le religioni in quanto tali sono impegnate a favorire nel mondo un clima di pace, di giustizia, di fratellanza, e non intendono lasciarsi strumentalizzare per scontri tra nazioni, popoli e culture.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> «Ci si vuol trovare insieme, in particolare cristiani e musulmani, per proclamare davanti al mondo che la religione non deve mai diventare motivo di conflitto, di odio e di violenza» (<a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/angelus/2001/documents/hf_jp-ii_ang_20011118_it.html">Angelus del 18 novembre 2001</a>, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 2001, vol. ii, p. 757). Il Papa invitò a prepararsi a quell'incontro con una giornata di digiuno, che significativamente fu collocata in un momento vicino al termine del mese del Ramadan.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> <a href="http://www.vatican.va/special/assisi_20020124_it.html">La Giornata di preghiera per la pace nel mondo si tenne ad Assisi il 24 gennaio 2002</a>. In quella circostanza, rispetto alla preghiera pubblica delle diverse religioni che distinse l'incontro del 1986, si volle sottolineare il solenne impegno in favore della pace. Ciascun gruppo religioso ebbe modo di pregare in appositi ambienti all'interno del convento francescano, mentre i cristiani si ritrovarono nella basilica inferiore. Tali scelte derivavano dalla volontà, da tutti condivisa, di non offrire il pretesto a interpretazioni di tipo irenista dell'incontro tra uomini appartenenti a religioni diverse.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Durante l'incontro comune, nella piazza San Francesco, si ascoltarono testimonianze in favore della pace e, nel pomeriggio, venne proclamato un solenne impegno, condiviso da tutti i presenti. È un testo che mantiene ancora oggi tutta la sua validità: in esso si esprimeva la condanna della violenza e del terrorismo, contrastanti con l'autentico spirito religioso; si manifestava la volontà di educare alla stima e al rispetto reciproco, di promuovere la cultura del dialogo fra individui e popoli, di vivere il confronto con l'altrui diversità come occasione di migliore comprensione reciproca. Si affermava la volontà di perdono, l'impegno al superamento degli errori e dei pregiudizi del passato; si faceva propria la causa dei più poveri e dimenticati. Il testo concludeva con un appello ai responsabili delle nazioni, affinché ponessero ogni sforzo per consolidare, sul fondamento della giustizia, un mondo di solidarietà e di pace.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> La condanna della violenza e del terrorismo operati in nome della religione introduceva nell'incontro interreligioso un elemento forse non nuovo, ma vissuto ora con intensità particolare: il bisogno di purificazione, di cui ogni tradizione religiosa deve farsi carico, davanti alle altre tradizioni religiose e davanti al mondo. Anche la pratica della religione è esposta alle conseguenze del male, del peccato, e può ritrovarsi sfigurata. Radunarsi insieme significa anche essere disposti a perdonarsi e a purificare il proprio modo di vivere la dimensione religiosa. Lo scambio dell'abbraccio di pace tra i presenti, con cui si concluse la giornata del 2002, era espressione eloquente di questa disponibilità.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Sono ormai trascorsi 25 anni dal primo storico incontro di Assisi. Il mondo ha subito profonde trasformazioni. Perché ritornare di nuovo nella città del poverello?</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> La risposta è semplice: il mondo cambia, ma permangono le aspirazioni del cuore dell'uomo e, oggi più che mai, la dimensione religiosa si rivela essere un elemento imprescindibile per la difesa e la promozione della pace.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Papa Benedetto XVI dà nuovamente appuntamento ai responsabili delle Chiese, delle comunità cristiane e delle principali religioni del mondo, anzitutto per fare memoria dell'evento del 1986: esso ha veramente aperto un'epoca nuova nei rapporti tra uomini di religioni diverse; ha permesso a tutti di rendersi conto che il confronto con l'altro da sé è una necessità che nessun uomo religioso può ignorare.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Naturalmente, però, non ci si incontra solo per fare memoria del passato, ma anche per guardare avanti. Quali sono le sfide che attendono oggi gli uomini credenti in rapporto alla costruzione della pace? Quale contributo ciascun individuo e ciascuna tradizione religiosa può offrire, là dove è maggiormente operante, alla causa della giustizia? E, di contro, quale stimolo si può ricevere, nello sforzo di lavorare per la costruzione di un mondo maggiormente giusto e solidale, da chi ha una credenza diversa dalla propria, e anche da chi non manifesta una fede religiosa, ma si sente impegnato in questa nobile causa?</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il tema che il Pontefice ha indicato per la celebrazione della giornata -- «Pellegrini della verità, pellegrini della pace» -- mostra chiaramente il senso che avrà <a href="http://magisterobenedettoxvi.blogspot.com/2011/01/pellegrinaggio-del-santo-padre-ad.html">l'incontro del 27 ottobre 2011</a>.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Vogliamo in primo luogo riconoscerci tutti inseriti in quel comune cammino che è la storia umana. Affermare di essere pellegrini significa ammettere che non si è ancora giunti alla meta o, meglio, che essa sempre ci trascende, costituendo il senso del nostro viaggio. Ogni uomo di buona volontà si sente «pellegrino della verità»: si sente in cammino, perché è consapevole che la verità sempre lo supera.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Da qui il motivo di una scelta qualificante il prossimo raduno, quella di invitare ad Assisi anche alcune personalità del mondo della scienza e della cultura che si definiscono non religiose. E ciò non solo per il fatto che la costruzione della pace è una responsabilità di tutti, credenti e non credenti. Più profondamente, siamo convinti che la posizione di chi non crede, o fatica a credere, possa svolgere un ruolo salutare per la religione in quanto tale, per esempio nell'aiutare a evidenziarne possibili degenerazioni o inautenticità. Tracce di questo «illuminismo» rettamente inteso sono presenti nella stessa tradizione biblica, fortemente critica verso modalità di culto che non avvicinano, ma allontanano da Dio.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Come cristiani, professiamo di avere ricevuto in Cristo la rivelazione piena e definitiva del volto di Dio; sappiamo che tale dono di salvezza è per tutti gli uomini e desideriamo ardentemente che il disegno di amore del Padre si manifesti e realizzi nella sua interezza. Sappiamo bene, però, che mai potremo esaurire la profondità del mistero di Cristo. Non solo, riconosciamo che la nostra fragilità può talora offuscare lo splendore del tesoro che ci è stato rivelato e renderne più difficile la conoscenza. L'avere ricevuto in dono la verità non ci impedisce pertanto di sentirci compagni di viaggio di ogni uomo e donna.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> La Giornata di Assisi si svolgerà all'insegna di quegli elementi che già caratterizzarono il primo raduno, venticinque anni fa: la preghiera, il digiuno, il pellegrinaggio.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> La preghiera sarà vissuta soprattutto nella dimensione del silenzio e del raccoglimento interiore, che si sono voluti privilegiare rispetto alle forme pubbliche di preghiera di ciascuna tradizione, in continuità con quanto avvenuto già nell'incontro del 2002. La preoccupazione per evitare anche solo l'impressione di qualsiasi relativismo non è solo cattolica, ed è particolarmente comprensibile nell'odierno contesto culturale, per molti versi refrattario alla questione della verità e per questo incline a una presentazione indifferenziata, e ultimamente irrilevante, del fenomeno religioso. </span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Ciò non sminuisce la convinzione profonda che la preghiera rimanga il contributo essenziale che gli uomini religiosi possono offrire alla causa della pace. Papa Benedetto XVI presiederà, la sera precedente, una veglia di preghiera per la pace con i fedeli della diocesi di Roma, invitando a unirsi a lui vescovi e fedeli di tutto il mondo.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Il secondo elemento della giornata è il digiuno, che sarà solo parzialmente interrotto da un sobrio pasto, a esprimere la fraternità tra i presenti. Il digiuno starà a significare la dimensione penitenziale che l'incontro vuole anche assumere, la convinzione di dover sempre essere disposti a un processo di purificazione.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> Infine vi è l'elemento del pellegrinaggio, che sarà simboleggiato dal viaggio in treno delle delegazioni da Roma ad Assisi, e dalla salita, nel pomeriggio, di tutti i partecipanti, dalla basilica di Santa Maria degli Angeli verso la ormai storica piazza che ha visto la conclusione anche dei precedenti incontri. Ci troveremo a camminare insieme per le strade di Assisi, così come camminiamo insieme ogni giorno sulle strade di questo mondo, sulle strade della storia. Ci riconosceremo pellegrini della verità, pellegrini della pace, impegnandoci a essere costruttori di un mondo più giusto e solidale e consapevoli che tale compito sfugge alle nostre povere forze e deve essere invocato dall'alto. È con questi sentimenti che ci apprestiamo ad accogliere l'invito di Papa Benedetto XVI e a ritornare ad Assisi.</span></span></span></div><span style="font-family: Trebuchet MS,sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-weight: normal;"> <br />
(©L'Osservatore Romano 3 luglio 2011) </span></span></span> </div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-19442910290582623152011-04-02T01:40:00.000-07:002011-09-06T07:58:51.964-07:00Comunicato Sala Stampa della Santa Sede - "Pellegrini della Verità, pellegrini della Pace"<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Il 1° gennaio scorso, al termine della preghiera dell’Angelus, Benedetto XVI ha annunciato di voler solennizzare il 25° anniversario dello storico incontro tenutosi ad Assisi il 27 ottobre 1986, per volontà del venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II. In occasione di tale ricorrenza, il Santo Padre intende convocare, il 27 ottobre prossimo, una </span><em><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo</span></em><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">, recandosi pellegrino nella città di San Francesco e invitando nuovamente ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà.</span><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">La Giornata avrà come tema: </span><em><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Pellegrini della verità, pellegrini della pace</span></em><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">. </span><strong><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><span style="font-weight: normal;">Ogni essere umano è, in fondo, un pellegrino in ricerca della verità e del bene. Anche l’uomo religioso rimane sempre in cammino verso Dio:</span></span></strong><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><span style="font-weight: normal;"> </span></span><strong><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><span style="font-weight: normal;">da qui nasce la possibilità, anzi la necessità di parlare e dialogare con tutti, credenti o non credenti, senza rinunciare alla propria identità o indulgere a forme di sincretismo</span></span></strong><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">; nella misura in cui il pellegrinaggio della verità è vissuto autenticamente, esso apre al dialogo con l’altro, non esclude nessuno e impegna tutti ad essere costruttori di fraternità e di pace. Sono questi gli elementi che il Santo Padre intende porre al centro della riflessione.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Per questo motivo, saranno invitate a condividere il cammino dei rappresentanti delle comunità cristiane e delle principali tradizioni religiose anche alcune personalità del mondo della cultura e della scienza che, pur non professandosi religiose, si sentono sulla strada della ricerca della verità e avvertono la comune responsabilità per la causa della giustizia e della pace in questo nostro mondo.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">L’immagine del pellegrinaggio riassume dunque il senso dell’evento che si celebrerà: si farà memoria delle tappe percorse, dal primo incontro di Assisi, a quello successivo del gennaio 2002 e, al tempo stesso, si volgerà lo sguardo al futuro, con il proposito di continuare, con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a camminare sulla via del dialogo e della fraternità, nel contesto di un mondo in rapida trasformazione. San Francesco, povero e umile, accoglierà di nuovo tutti nella sua città, divenuta simbolo di fraternità e di pace.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Le delegazioni partiranno da Roma, in treno, la mattina stessa del 27 ottobre, insieme con il Santo Padre. All’arrivo in Assisi, ci si recherà presso la Basilica di S. Maria degli Angeli, dove avrà luogo un momento di commemorazione dei precedenti incontri e di approfondimento del tema della Giornata. Interverranno esponenti di alcune delle delegazioni presenti e anche il Santo Padre prenderà la parola.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Seguirà un pranzo frugale, condiviso dai delegati: un pasto all’insegna della sobrietà, che intende esprimere il ritrovarsi insieme in fraternità e, al tempo stesso, la partecipazione alle sofferenze di tanti uomini e donne che non conoscono la pace. Sarà poi lasciato un tempo di silenzio, per la riflessione di ciascuno e per la preghiera. Nel pomeriggio, tutti i presenti in Assisi parteciperanno ad un cammino che si snoderà verso la Basilica di San Francesco. Sarà un pellegrinaggio, a cui prenderanno parte nell’ultimo tratto anche i membri delle delegazioni; con esso si intende simboleggiare il cammino di ogni essere umano nella ricerca assidua della verità e nella costruzione fattiva della giustizia e della pace. Si svolgerà in silenzio, lasciando spazio alla preghiera e alla meditazione personale. All’ombra della Basilica di San Francesco, là dove si sono conclusi anche i precedenti raduni, si terrà il momento finale della giornata, con la rinnovazione solenne del comune impegno per la pace.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">In preparazione a tale Giornata, Papa Benedetto XVI presiederà in San Pietro, la sera precedente, una veglia di preghiera, con i fedeli della Diocesi di Roma. Le Chiese particolari e le comunità sparse nel mondo sono invitate ad organizzare momenti di preghiera analoghi.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Nelle prossime settimane i Cardinali Presidenti dei Pontifici Consigli per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, del Dialogo Interreligioso e della Cultura dirameranno gli inviti, a nome del Santo Padre. Il Papa chiede ai fedeli cattolici di unirsi spiritualmente alla celebrazione di questo importante evento ed è grato a quanti potranno essere presenti nella città di San Francesco, per condividere questo ideale pellegrinaggio.</span></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br />
© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana</span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-41203015576419767412011-04-01T05:04:00.000-07:002011-09-06T05:11:18.518-07:00Lo splendore della pace di Francesco<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;"><b>del cardinale Joseph Ratzinger</b></span></div><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS;">tratto dal n°1-2002 del mensile 30giorni</span></div><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><br />
</div><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;"><b>Q</b>uando, giovedì 24 gennaio, sotto un cielo gravido di pioggia, si è mosso il treno che doveva condurre ad Assisi i rappresentanti di un gran numero di Chiese cristiane e comunità ecclesiali assieme ai rappresentanti di molte religioni mondiali per testimoniare e pregare per la pace, questo treno mi è apparso come un simbolo del nostro pellegrinaggio nella storia. </span><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Non siamo, infatti, forse tutti passeggeri di uno stesso treno? Il fatto che il treno abbia scelto come sua destinazione la pace e la giustizia, la riconciliazione dei popoli e delle religioni non è forse una grande ambizione e, al contempo, uno splendido segnale di speranza? Ovunque, passando nelle stazioni, è accorsa una gran folla per salutare i pellegrini della pace. Nelle strade di Assisi e nella grande tenda, il luogo della testimonianza comune, siamo stati nuovamente circondati dall’entusiasmo e dalla gioia piena di gratitudine, in particolare di un numeroso drappello di giovani. Il saluto della gente era diretto principalmente all’uomo anziano vestito di bianco che stava sul treno. Uomini e donne, che nella vita quotidiana troppo spesso si fronteggiano l’un l’altro con ostilità e sembrano divisi da barriere insormontabili, salutavano il Papa, che, con la forza della sua personalità, la profondità della sua fede, la passione che ne deriva per la pace e la riconciliazione, ha come tirato fuori l’impossibile dal carisma del suo ufficio: convocare insieme in un pellegrinaggio per la pace rappresentanti della cristianità divisa e rappresentanti di diverse religioni. Ma l’applauso, rivolto innanzitutto al Papa, esprimeva anche un consenso spontaneo per tutti coloro che con lui cercano la pace e la giustizia, ed era un segnale del desiderio profondo di pace che provano gli individui di fronte alle devastazioni che ci circondano provocate dall’odio e dalla violenza. Anche se talvolta l’odio appare invincibile e si moltiplica senza sosta nella spirale della violenza, qui, per un momento, si è percepita la presenza della forza di Dio, della forza della pace. Mi vengono alla mente le parole del salmo: «Con il mio Dio scavalcherò le mura» (<i>Sal </i>18, 30). Dio non ci mette gli uni contro gli altri, bensì Egli che è Uno, che è il Padre di tutti, ci ha aiutato, almeno per un momento, a scavalcare le mura che ci separano, facendoci riconoscere che Egli è la pace e che non possiamo essere vicini a Dio se siamo lontani dalla pace.</span></div><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Nel suo discorso il Papa ha citato un altro caposaldo della Bibbia, la frase della Lettera agli Efesini: «Cristo è la nostra pace. Egli ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia» (<i>Ef</i> 2, 14). Pace e giustizia sono nel Nuovo Testamento nomi di Cristo (per «Cristo, nostra giustizia» vedere ad esempio <i>1Cor</i> 1, 30). Come cristiani non dobbiamo nascondere questa nostra convinzione: da parte del Papa e del Patriarca ecumenico la confessione di Cristo nostra pace è stata chiara e solenne. Ma proprio per questa ragione c’è qualcosa che ci unisce oltre le frontiere: il pellegrinaggio per la pace e la giustizia. Le parole che un cristiano deve dire a colui che si mette in cammino verso tali mete sono le stesse usate dal Signore nella risposta allo scriba che aveva riconosciuto nel duplice comandamento che esorta ad amare Dio e il prossimo la sintesi del messaggio veterotestamentario: «Non sei lontano dal regno di Dio» (<i>Mc</i> 12, 34).<br />
Per una giusta comprensione dell’evento di Assisi, mi sembra importante considerare che non si è trattato di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia. Infatti, là dove manca la giustizia, dove agli individui viene negato il loro diritto, l’assenza di guerra può essere solo un velo dietro al quale si nascondono ingiustizia e oppressione. <br />
Con la loro testimonianza per la pace, con il loro impegno per la pace nella giustizia, i rappresentanti delle religioni hanno intrapreso, nel limite delle loro possibilità, un cammino che deve essere per tutti un cammino di purificazione. Ciò vale anche per noi cristiani. Siamo giunti veramente a Cristo solo se siamo arrivati alla sua pace e alla sua giustizia. Assisi, la città di san Francesco, può essere la migliore interprete di questo pensiero. Anche prima della sua conversione Francesco era cristiano, così come lo erano i suoi concittadini. E anche il vittorioso esercito di Perugia che lo gettò in carcere prigioniero e sconfitto era formato da cristiani. Fu solo allora, sconfitto, prigioniero, sofferente, che cominciò a pensare al cristianesimo in modo nuovo. E solo dopo questa esperienza gli è stato possibile udire e capire la voce del Crocifisso che gli parlò nella piccola chiesa in rovina di San Damiano la quale, perciò, divenne l’immagine stessa della Chiesa della sua epoca, profondamente guasta e in decadenza. Solo allora vide come la nudità del Crocifisso, la sua povertà e la sua umiliazione estreme fossero in contrasto con il lusso e la violenza che prima gli apparivano normali. E solo allora conobbe veramente Cristo e capì anche che le crociate non erano la via giusta per difendere i diritti dei cristiani in Terra Santa, bensì bisognava prendere alla lettera il messaggio dell’imitazione del Crocifisso. <br />
Da quest’uomo, da Francesco, che ha risposto pienamente alla chiamata di Cristo crocifisso, emana ancora oggi lo splendore di una pace che convinse il sultano e può abbattere veramente le mura. Se noi come cristiani intraprendiamo il cammino verso la pace sull’esempio di san Francesco, non dobbiamo temere di perdere la nostra identità: è proprio allora che la troviamo. E se altri si uniscono a noi nella ricerca della pace e della giustizia, né loro né noi dobbiamo temere che la verità possa venir calpestata da belle frasi fatte. No, se noi ci dirigiamo seriamente verso la pace allora siamo sulla via giusta perché siamo sulla via del Dio della pace (<i>Rm</i> 15, 32) il cui volto si è fatto visibile a noi cristiani per la fede in Cristo.</span></div></div><a name='more'></a>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-34381333053799454912003-06-18T05:19:00.000-07:002011-09-06T07:31:58.059-07:00Giovanni Paolo II e le religioni. Da Assisi alla "Dominus Iesus"<div align="left" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;"><b>di Sandro Magister <br />
Tokyo, 18 giugno 2003</b> <br />
<br />
Ci sono eventi che Giovanni Paolo II ha voluto, e lui solo. Li ha voluti e li ha posti in essere, unico nella storia dei papi e contro molti della stessa Chiesa del suo tempo, cardinali, vescovi, preti, fedeli. È verosimile che dopo di lui nessun altro papa li riproporrà più. Almeno nel suo stesso modo. <br />
<br />
Il primo di questi suoi atti specialissimi lo compì ad Assisi il 27 ottobre 1986. Chiamò attorno a sé rappresentanti delle più varie religioni del mondo e chiese loro di pregare per la pace. Ciascuno il proprio Dio. Potentemente simbolica era la visione, sulla piazza di san Francesco, di quella fila multicolore di uomini religiosi, con il papa biancovestito allineato tra loro. <br />
<br />
Simbolo pericoloso, però. Anche se Giovanni Paolo II era lontanissimo dal volerlo, il messaggio che ne usciva per molti era quello di una Onu delle fedi. Di una coesistenza multireligiosa nella quale ciascuna fede valeva l’altra. E alla quale anche la Chiesa cattolica si iscriveva, alla pari. <br />
<br />
Anni dopo, infatti, il 6 agosto del 2000, papa Karol Wojtyla e il cardinale Joseph Ratzinger si sentirono in dovere di emettere una dichiarazione che facesse da antidoto a questo veleno relativista. Era intitolata “Dominus Iesus” e richiamava un’elementare e fondante verità cristiana: quella secondo cui è solo in Gesù che tutti gli uomini hanno salvezza. La dichiarazione generò un terremoto. Da fuori, i paladini della laicità accusarono la Chiesa di intolleranza. E da dentro scattarono accuse di antiecumenicità. Segno che la “Dominus Iesus” aveva centrato un reale malessere della Chiesa. Che ad Assisi era stato portato allo scoperto. E che aveva il suo elemento scatenante in Asia, e ancor più nel subcontinente indiano. Ma andiamo per ordine. <br />
<br />
<b>Assisi, 1986</b> <br />
<br />
Il primo atto, dunque, di questo percorso accidentato va in scena nel 1986 nel borgo di san Francesco. Giovanni Paolo II ne diede l’annuncio il 25 gennaio e le reazioni critiche furono immediate, specie nella curia vaticana. Ma il papa non se ne fece imbrigliare, affidò la regia dell’evento a un cardinale di sua fiducia, uno dei pochissimi concordi su questo con lui, il francese Roger Etchegaray, presidente del pontificio consiglio per la giustizia e la pace. Della parte rituale si occupò il cardinale Virgilio Noé, già maestro delle cerimonie del papa. E per gli aspetti scenografici e organizzativi fu dato mandato alla comunità di Sant’Egidio e al movimento dei Focolari, l’una e l’altro sperimentati costruttori di eventi mediatici e già al centro di una rete internazionale di rapporti con esponenti di religioni non cristiane. <br />
<br />
Il 27 ottobre, le televisioni trasmisero così in tutto il mondo le immagini di quell’evento fortemente voluto dal papa: pellegrinaggio, digiuno, preghiera, pace tra i popoli e le religioni. Giovanni Paolo II rinverdì anche una tradizione medievale invocando per quel giorno una “tregua di Dio”, un arresto nell’uso delle armi su tutti i fronti di guerra del globo. Risultò poi che quasi nessun combattente vi si attenne, ma il simbolo sovrastò la realtà e la visione del papa orante a fianco dei capi di tante religioni diverse si impose da quel giorno come uno dei marchi più forti dell’intero pontificato. <br />
<br />
Ma insieme presero corpo anche le riserve critiche, su quello stesso evento. La giornata di Assisi non mancò di darvi alimento, in alcuni suoi gesti eccessivi. A buddisti, a induisti, ad animisti africani furono concesse per le loro preghiere alcune chiese della città, come fossero involucri neutri, privi d’irrinunciabile valenza cristiana. E sull’altare della locale chiesa di San Pietro i buddisti sistemarono una reliquia di Buddha. L’assenza da Assisi del cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione vaticana per la dottrina della fede, fu interpretata non a torto come una presa di distanza del cardinale che per ufficio è il custode della retta dottrina cattolica. Lo stesso papa non sfuggì alle critiche. Vi fu chi ricordò che quel medesimo anno, in febbraio, durante un suo viaggio in India, aveva fatto discorsi di inaudita apertura verso le religioni del luogo e a Bombay s’era persino fatta ungere la fronte da una sacerdotessa di Shiva, con un segno di forte simbolismo sacro induista. A brontolare erano stati anche alcuni vescovi indiani. Uno di essi, dell’Andra Pradesh, disse: “Il papa conosce l’induismo dai libri, ma noi che ci viviamo dentro e vediamo i danni che produce nel buon popolo, non faremmo mai certi discorsi”. <br />
<br />
“<b>Redemptoris Missio”, 1990</b> <br />
<br />
Delle critiche Giovanni Paolo II era consapevole. Ma non solo. Di quelle di un Ratzinger o di altri della sua levatura coglieva e condivideva il senso profondo. La conferma è in un’enciclica che il papa mette in cantiere poco dopo l’incontro di Assisi e che vedrà la luce nel 1990: la “Redemptoris Missio”. Come dicono le sue prime parole latine, le stesse che le fanno da titolo, questa enciclica ha per tema la missione evangelizzatrice della Chiesa, quella che obbedisce al comando di Gesù risorto ai discepoli di andare ad ammaestrare e a battezzare tutte le creature fino ai confini della terra. E come spesso avviene per le encicliche, anche questa non nasce nel vuoto, ma in risposta a una deriva reale o temuta: come un colpo di timone del successore di Pietro per rimettere la navicella della Chiesa sulla giusta rotta. <br />
<br />
La deriva è precisamente l’impoverirsi della vitalità missionaria cattolica, la sua diluizione in un dialogo indistinto con le altre religioni e culture, o peggio, in un dialogo spogliato della volontà d’annunciare la verità e di chiedere la conversione a Cristo unico salvatore. In effetti, partendo dall’affermazione del Concilio Vaticano II nel decreto “Nostra Aetate” secondo cui “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle religioni”, s’era largamente affermata nel dopoconcilio l’idea di trasformare la missione in semplice impegno a far maturare i “semi di verità” presenti nelle diverse religioni – in altre parole ad aiutare l’induista a essere un bravo induista o il musulmano ad adorare il suo unico Dio – come se questi semi fossero essi stessi vie autonome di salvezza, al di fuori di Cristo e a maggior ragione al di fuori della Chiesa. <br />
<br />
La “Redemptoris Missio” contrasta con decisione questa “mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra i cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che una religione vale l’altra” (n. 36). Riafferma la necessità e l’urgenza dell’annuncio della Buona Novella di Gesù. Annuncio esplicito. Annuncio proclamato nella certezza che nessuna altra religione può salvare al di fuori di Cristo unica “via, verità, vita”. Pochi all’epoca notarono la centralità di questa enciclica nel magistero di Giovanni Paolo II. Ma dieci anni dopo, nel 2000, quando papa Wojtyla riterrà necessario e urgente ritornare su questi temi, numerose sue citazioni troveranno posto puntualmente nella “Dominus Iesus”, ancora più definitoria della “Redemptoris Missio” nel ribadire l’irrinunciabilità e l’insostituibilità dell’annuncio di Cristo alle genti. <br />
<br />
<b>La questione asiatica</b> <br />
<br />
Nel 1994 Giovanni Paolo II torna a spiegare la sua visione del rapporto tra la Chiesa cattolica e le religioni non cristiane nel libro-intervista da lui stesso intitolato “Varcare la soglia della speranza”, pubblicato contemporaneamente in più lingue. <br />
<br />
Il papa sostiene che vi sono religioni per loro natura “particolarmente vicine al cristianesimo”, come quelle animiste dell’Africa, dalle quali è più facile che avvengano conversioni al Vangelo. Opposto invece è il giudizio che egli formula sulle “grandi religioni dell’Estremo Oriente”, buddismo, induismo, confucianesimo, taoismo, shintoismo. Esse “possiedono carattere di sistema”, quindi sono molto meno penetrabili, e questo spiega perché in queste regioni “l’attività missionaria della Chiesa ha portato frutti, dobbiamo riconoscere, modestissimi”. <br />
<br />
Ma è soprattutto al buddismo che papa Wojtyla dedica attenzione e preoccupazione. Esso, dice, “è come il cristianesimo una religione di salvezza”, ma le dottrine di salvezza dell’uno e dell’altro sono tra loro “contrarie”. Quella del buddismo è “negativa”, si fonda sulla convinzione che “il mondo è cattivo, è fonte di male e di sofferenza per l’uomo”, e “per liberarsi da questo male bisogna liberarsi dal mondo”. Senza che ciò comporti alcun avvicinamento a Dio: “La pienezza del distacco non è l’unione con Dio, ma il cosiddetto nirvana, ovvero uno stato di perfetta indifferenza nei riguardi del mondo”. Insomma, “il buddismo è in misura rilevante un sistema ateo”, nonostante il fascino che esercita. “Non è perciò fuori luogo mettere sull’avviso quei cristiani che con entusiasmo si aprono a certe proposte provenienti dalle tradizioni religiose dell’Estremo Oriente”. <br />
<br />
Questi giudizi inaspettatamente taglienti espressi dal papa sulla religione del Buddha suscitarono proteste in campo buddista, ma anche da parte di teologi cattolici all’avanguardia nel dialogo con le religioni. Vi fu chi vide Giovanni Paolo II fare retromarcia, rispetto ai passi di dialogo compiuti ad Assisi. In realtà, nello stesso capitolo del suo libro-intervista, papa Wojtyla ricordava l’incontro interreligioso del 1986 con parole che, semmai, avrebbero potuto suggerire sospetti opposti. Lo “storico” incontro di Assisi, diceva, l’aveva più che mai convinto che “lo Spirito Santo opera efficacemente anche fuori dell’organismo visibile della Chiesa”. E “opera in base a ‘semina Verbi’ che costituiscono quasi una comune radice soteriologica di tutte le religioni”. <br />
<br />
<b>L’enigma dei ‘semina Verbi’</b> <br />
<br />
Ai non specialisti l’ultima frase può suonare enigmatica. “Radice soteriologica” vuol dire capacità di salvezza eterna. Il ‘Verbum’, in greco ‘Logos’, è il Figlio di Dio fatto uomo del primo capitolo del Vangelo secondo Giovanni, per il quale il mondo è stato creato e tutti gli uomini sono salvati. Quanto ai ‘semina Verbi’, i semi del Verbo, l’espressione è antichissima, è stata coniata da Giustino attorno al 150 d.C. ed è ritornata nei documenti del Concilio Vaticano II per designare ciò che di “vero e santo” ci può essere anche nelle religioni non cristiane. <br />
<br />
Propriamente, secondo i Padri della Chiesa dei primi secoli, Agostino compreso, i ‘semina Verbi’ non fecondano le religioni pagane, sulle quali il giudizio è radicalmente negativo, quanto piuttosto la filosofia greca e la sapienza dei poeti e delle Sibille. Ma nella sua ripresa moderna la formula è applicata proprio alle religioni non cristiane, secondo due significati. Il primo è anche quello del Concilio Vaticano II: ove i ‘semina Verbi’ sono la misteriosa presenza di Cristo salvatore in tutte le religioni, in quanto esse possono avere di “vero e santo” e quindi anche di salvifico, sempre però attraverso Cristo per vie che solo lui conosce. <br />
<br />
Il secondo significato è quello adottato da alcune correnti teologiche della seconda metà del XX secolo. A giudizio di queste correnti le religioni non cristiane avrebbero capacità salvifica non mediata ma propria, tutte esprimerebbero molteplici esperienze del divino, indipendenti e complementari, e Cristo sarebbe simbolo di questa molteplicità di percorsi più che l’unica via necessaria. <br />
<br />
L’oscillazione tra l’uno e l’altro di questi significati non è solo materia di disputa teologica. Influisce sulla pratica pastorale, sulla missione, sul profilo pubblico della Chiesa. Il secondo di questi significati ha preso forma, in particolare, in una precisa proposta religiosa al confine tra cristianesimo e induismo, creata in India alla metà del XX secolo da tre maestri di spirito venuti dall’Europa. <br />
<br />
<b>L’ashram Saccidananda</b> <br />
<br />
I tre sono il francese Jules Monchanin (1895-1957), l’altro francese Henri Le Saux (1910-1973) e l’inglese Bede Griffiths (1906-1993), tutti sacerdoti e gli ultimi due monaci benedettini. Monchanin e Le Saux, emigrati in India, vi fondarono nel 1950 un ashram, un luogo di meditazione e di preghiera, dedicato alla contemplazione indocristiana della Trinità. E infatti diedero all’ashram il nome di Saccidananda, parola sanscrita tripartita che evoca la trinità della fede Veda: origine del tutto, sapienza, beatitudine. <br />
<br />
L’ashram Saccidananda sorge tutt’ora nel cuore boscoso dello Stato indiano del Tamil Nadu, presso uno sperduto villaggio di nome Thannirpalli, 300 miglia a sud di Madras. Eppure, questo remoto luogo dello spirito divenne in breve un polo d’attrazione straordinario e cosmopolita. Nel 1968, usciti di scena Monchanin e Le Saux, ne diventò guida spirituale per un quarto di secolo Bede Griffiths e l’ashram entrò a far parte della famiglia benedettina camaldolese. Vi passarono lunghi soggiorni alcuni dei più famosi teologi cattolici impegnati nel dialogo interreligioso: dal sacerdote indospagnolo Raimon Panikkar al gesuita belga Jacques Dupuis, dal singalese Aloysius Pieris, anche lui gesuita, all’americano Thomas Matus, benedettino di Camaldoli. <br />
<br />
Il luogo stesso mostra visibilmente l’intreccio tra la fede cristiana e quella induista. Anche oggi, chi visitasse l’ashram rimarrebbe colpito dalla somiglianza tra la chiesa dove i monaci pregano e un tempio indù, non privo di richiami al buddismo. Il ‘sancta sanctorum’ è buio, misterioso come la caverna della madre terra da cui risorge la nuova creazione. E questa appare nella cupola colorata e popolata, con i suoi santi, con i quattro Gesù simili a Buddha, con il fior di loto, con i simboli dei cinque elementi, su su fino alla cuspide della divinità infinita. All’inizio di ogni preghiera i monaci fanno risuonare la sacra sillaba sanscrita “Om”, il suono primordiale da cui è nata la terra. Ogni liturgia è riplasmata e riflette spazi interreligiosi senza confini immediatamente riconoscibili. <br />
<br />
C’è però un elemento di sorpresa che balza all’occhio del visitatore, e oggi ancor più che nei decenni passati. I pochi monaci dell’ashram sono indiani, ma gli uomini e le donne che cercano ospitalità nel monastero no: arrivano nella quasi totalità dall’Europa e del Nordamerica. Concepito da maestri spirituali del Vecchio Continente proprio per gettare un ponte tra la fede cristiana e quella del subcontinente indiano, l’ashram Saccidananda sembra mancare il suo dichiarato obiettivo. Sembra riflettere un problema irrisolto tutto interno alla cattolicità d’Occidente. <br />
<br />
<b>Entra in campo Ratzinger</b> <br />
<br />
È il problema che il cardinale Ratzinger ha sottoposto a critica serrata in un impegnativo discorso del maggio 1996, tenuto in Messico ai vescovi sudamericani ma con l’intenzione di parlare a tutto il mondo cattolico. Fu un discorso spartiacque, quello. Ratzinger, col pieno consenso del papa, indicò nel relativismo interreligioso “il problema fondamentale della fede dei nostri giorni”. Seguì pochi mesi dopo un documento della Commissione teologica internazionale, anch’essa facente capo alla congregazione per la dottrina della fede. Seguì il processo al teologo Dupuis, il più esposto tra i cultori della “teologia pluralista delle religioni”. Seguì la dichiarazione “Dominus Iesus”. Tutto per riorientare la Chiesa rispetto a una deriva giudicata pericolosissima. <br />
<br />
Nel suo discorso del 1996, Ratzinger descrive il relativismo religioso come “un prodotto tipico del mondo occidentale”, tanto più insidioso quanto più “si pone in contatto con le intuizioni filosofiche e religiose dell'Asia, soprattutto con quelle del subcontinente indiano”. E perché? Perché nel corso della sua storia il cristianesimo si è confrontato con varie sfide religiose e antireligiose, dal politeismo grecoromano all'islam, alla modernità secolare. Ma oggi che le religioni d’Oriente sono il nuovo nome di questa sfida, il cristianesimo occidentale si scopre più vulnerabile. Le religioni d’Oriente hanno infatti una naturale prossimità col relativismo secolare che in Occidente già impera. E quindi esercitano un fascino contagioso, che sgretola gli stessi fondamenti della Chiesa. <br />
<br />
Alla sfida la Chiesa ha cercato negli ultimi decenni di rispondere in più modi, che il documento della Commissione teologica del 1996 riconduce a tre principali. C'è una corrente "esclusivista", o neoortodossa, che in campo cattolico fa capo al magistero tradizionale e in campo protestante al grande teologo Karl Barth. Questa corrente difende la tesi che il cristianesimo è la sola fede salvifica ed è depositario dell’unica rivelazione diretta di Dio all'umanità. Per gli esclusivisti l’antico detto "Extra Ecclesiam nulla salus", fuori della Chiesa non c’è salvezza, continua a valere intatto. <br />
<br />
Poi c'è la corrente degli "inclusivisti", che nel campo della teologia cattolica sono ben rappresentati da Karl Rahner. Per essi la massima si rovescia: "Ubi salus ibi Ecclesia", dove c’è salvezza lì c’è la Chiesa. E chiamano Chiesa una comunità vasta come il mondo, fatta di battezzati, di cristiani consapevoli, ma anche di masse di "cristiani anonimi”: i credenti che trovano la salvezza nelle rispettive religioni, anche in quelle dell’Asia, senza sapere di entrare misteriosamente, per queste vie tortuose, nell'unica Chiesa di Cristo. <br />
<br />
Sono infine arrivati i "pluralisti". Il più agguerrito è il teologo presbiteriano inglese John Hick. Ma anche in campo cattolico questa corrente ha validi difensori, in testa l’americano Paul Knitter, e poi Panikkar, Pieris e i maestri spirituali dell’ashram Saccidananda. Per i pluralisti il cristianesimo non ha il diritto di rivendicare l’esclusiva della verità. Lo stesso Cristo è una realtà trascendente, anteriore a tutte le sue incarnazioni storiche, di cui Gesù non è la sola né forse l’ultima. Hanno capacità salvifica propria, per i pluralisti, sia lo "Shemà Israel" degli ebrei, sia il "Credo" dei cristiani, sia l'atto di fede dei musulmani "Non c'è altro Dio all'infuori di Allah e Maometto è il suo profeta", sia la credenza buddista secondo cui al centro della realtà si trova il vuoto del Nirvana. <br />
<br />
Ma hanno anche pari verità, i diversi atti di fede? La questione è seria. Dal "tutte le fedi valgono" per la salvezza, i pluralisti passano rapidamente al "tutte le fedi sono vere". Ma la verità può essere così relativizzata? Si può capire che il cardinale Ratzinger, il custode della verità dottrinale nella Chiesa, veda nella teologia pluralista delle religioni un pericolo di prima grandezza. Il fatto poi che il relativismo laico e religioso dell'Europa e dell'America riceva dall'Oriente questa specie di consacrazione, accresce ancor di più la sua forza persuasiva. <br />
<br />
<b>Il caso Dupuis</b> <br />
<br />
Fino alla metà degli anni Novanta, tuttavia, le teorizzazioni pluraliste erano limitate a cenacoli intellettuali. Le cose cambiarono quando uno dei frequentatori dell’ashram Saccidananda, il teologo gesuita Dupuis, lasciò l’India e prese cattedra a Roma alla Gregoriana, retta dai gesuiti, la più autorevole delle università pontificie, quella che da secoli forma i quadri dirigenti della Chiesa cattolica mondiale. Nel 1997 Dupuis pubblico un libro che era anche la traccia del suo insegnamento, col titolo “Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso”. <br />
<br />
Fino ad allora, Dupuis aveva fama di teologo ortodosso. In Vaticano l’avevano chiamato a far da consulente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. L’allora segretario e oggi presidente di questo consiglio, Michael L. Fitzgerald, parlando ad Assisi nel decennale dell’incontro di Giovanni Paolo II con gli esponenti delle religioni, lo presentò come “un teologo cattolico che evita il pluralismo e si oppone con forza allo svuotamento di Cristo”. E quando il libro tanto annunciato uscì, alla Gregoriana lo raccomandarono con tutte le lodi: presenti Fitzgerald e l’allora rettore dell’ateneo Giuseppe Pittau, già rettore a Tokyo della Sophia University e oggi segretario della congregazione vaticana per l’educazione cattolica. <br />
<br />
Ma pochi mesi dopo il vento girò. Il 14 aprile 1998 “Avvenire”, il quotidiano della conferenza episcopale italiana, pubblicò un’inattesa stroncatura del libro, scritta da un teologo ben introdotto in Vaticano, Inos Biffi, nessuna parentela con l’omonimo cardinale. Sempre in aprile la congregazione per la dottrina della fede, quella presieduta da Ratzinger, aprì un fascicolo preliminare su Dupuis e il suo libro. E il 10 giugno Ratzinger e gli altri cardinali della congregazione decisero l’avvio di un’indagine segreta. <br />
<br />
Neppure a Dupuis, l’indagato, fu detto alcunché. Ma a metà estate, ecco un altro segnale. “La Civiltà Cattolica”, il quindicinale dei gesuiti di Roma, esce con una recensione critica del libro di Dupuis. La critica ha il peso di chi la scrive, lo stimato gesuita Giuseppe De Rosa. Ma ha anche il valore aggiunto che ha ogni articolo della “Civiltà Cattolica”: quello d’essere previamente letto e autorizzato dalla segreteria di Stato vaticana. E il finale della recensione è una sequela di capi d’accusa in veste di “interrogativi”. Anzitutto su Gesù Cristo: “La cristologia di padre Dupuis rende pienamente giustizia ai dati del Nuovo Testamento e della Tradizione?”. Poi sulla Chiesa: “È dato il giusto rilievo alla mediazione della Chiesa nell’opera della salvezza?”. Infine sulla necessità di convertire gli infedeli: “Se le altre tradizioni religiose hanno le proprie figure salvifiche, i propri profeti, le proprie sacre scritture, se sono già popolo di Dio e fanno già parte del regno di Dio, perché dovrebbero essere chiamate a divenire discepole di Cristo?”. <br />
<br />
Il 2 ottobre 1999 Dupuis è finalmente avvisato d’essere sotto indagine. Il padre generale dei gesuiti, Peter Hans Kolvenbach, gli trasmette l’elenco dei punti controversi, stabilito dalla Congregazione per la dottrina della fede. Ha tempo tre mesi per presentare una memoria difensiva. Intanto però ha l’obbligo di non parlare con nessuno dei temi contestati. Ossia non deve nemmeno più insegnare, essendo il suo corso alla Gregoriana attinente a quei temi. <br />
<br />
Ed è proprio l’avviso della cessazione del corso, affisso alla Gregoriana, a dar notizia pubblica del processo a Dupuis, con immediata stura delle polemiche. A difesa dell’inquisito scende in campo, con un articolo sul periodico cattolico inglese “The Tablet”, nientemento che l’ultranovantenne cardinale austriaco Franz König, colonna del Concilio Vaticano II. Ma le reazioni più risentite vengono dall’India. L’arcivescovo di Calcutta, Henry D’Souza, accusa il Vaticano di voler mettere il bavaglio ai teologi, colpendone uno “stimato per la sua ortodossia” al fine di far tacere tutti, e di prendere di mira soprattutto l’India. E, in effetti, che l’India fosse sotto tiro era vero. Prima dello scoppio del caso Dupuis, i due ultimi condannati dalla congregazione vaticana per la dottrina della fede appartengono anch’essi al subcontinente. Il primo è Tissa Balasuriya, un religioso dello Sri Lanka, scomunicato nel 1996 per un suo arruffato libro in cui faceva a pezzi importanti articoli del “Credo”, poi riammesso nella Chiesa previo pentimento. Il secondo è Anthony De Mello, un gesuita indiano autore di best seller fortunatissimi, tuttora venduti in decine di lingue, condannato ‘post mortem’ il 24 giugno 1998 con l’accusa d’aver dissolto Dio, Gesù e la Chiesa cattolica in una religiosità cosmica di sapore orientale, un po’ new age. <br />
<br />
“<b>Dominus Iesus”, 2000</b> <br />
<br />
Si avvicina l’Anno Santo del 2000, ideato e preparato con somma cura da Giovanni Paolo II, e la Chiesa sembra voler far chiarezza in casa. L’inaugurazione del Giubileo, in verità, rinfocola alcune critiche. La cerimonia dell’apertura della porta santa è audacemente nuova, rispetto alla tradizione, e vagamente interreligiosa: al papa ammantato di colori rutilanti fanno corona danzatrici in vesti indiane e volute di profumi d’Oriente. Ma che il pensiero del papa sia tutt’altro che cedevole a concordismi è dimostrato dai gesti forti con i quali scandisce l’anno giubilare: dai “mea culpa” per i peccati dei cristiani nella storia, alla memoria dei martiri di ieri e di oggi, alla riaffermazione solenne della dottrina secondo cui “Gesù Cristo e nessun altro può darci la salvezza” (Atti 12, 4). <br />
<br />
Questa riaffermazione prende corpo in una dichiarazione della congregazione per la dottrina della fede in data 6 agosto 2000, cui danno titolo le prime parole latine: “Dominus Iesus”. Essa non si presenta come una trattazione organica del rapporto tra la fede cristiana e le altre religioni. Si limita a definire gli errori da correggere e a ribadire le verità essenziali. Il tono è assertivo, definitorio. Uno dei suoi passaggi centrali dice: “È contraria alla fede della Chiesa la tesi circa il carattere limitato, incompleto e imperfetto della rivelazione di Gesù Cristo, che sarebbe complementare a quella presente nelle altre religioni. […] Questa posizione contraddice radicalmente le affermazioni di fede secondo le quali in Gesù Cristo si dà la piena e completa rivelazione del mistero salvifico di Dio” (n.6). <br />
<br />
La “Dominus Iesus” si fa scudo di abbondanti citazioni dei testi del Concilio Vaticano II. Eppure, appena pubblicata, va incontro a una mole di critiche, da dentro e fuori la Chiesa, seconda solo a quella che salutò nel 1968 la criticatissima enciclica “Humanae Vitae”. Il più celebre dei teologi, il tedesco Hans Küng, la bolla come “una miscela di arretratezza medievale e megalomania vaticana”. La respingono esponenti di altre confessioni cristiane e religioni. Protestano i difensori della laicità, della tolleranza, dell’ecumenismo, del dialogo. <br />
<br />
Ma il fatto che più colpisce è che tra le voci critiche spiccano anche quelle di alti esponenti della gerarchia ecclesiastica. L’arcivescovo Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, oggi cardinale, contesta la mancanza nella dichiarazione “dello stile dei grandi testi conciliari”. L’altro arcivescovo tedesco Walter Kasper, anch’egli futuro cardinale, lamenta “problemi di comunicazione”. E gli fa eco il cardinale Carlo Maria Martini auspicando che “poco a poco le cose saranno chiarite”. Ma è clamorosa soprattutto la presa di distanza del cardinale australiano Edward Cassidy, all’epoca presidente del pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Da Lisbona, dove sta partecipando a un incontro interreligioso nello stile di Assisi, Cassidy contrappone alla sensibilità ecumenica dell’ufficio da lui presieduto l’insensibilità della congregazione per la dottrina della fede diretta da Ratzinger: “Noi, nella pratica ecumenica che abbiamo, possediamo un orecchio sensibile che si accorge se si sta urtando qualcosa. Loro invece hanno un modo scolastico per dire ‘questo è vero, questo non è vero’. Il testo ha creato equivoci e noi ora dobbiamo cercare di evitare interpretazioni non precise”. A rassicurazione dei critici, Cassidy aggiunge che comunque la “Dominus Iesus” non porta la firma del papa. Come dire che è di debole autorevolezza ed è più facilmente rimediabile. <br />
<br />
<b>Ritorno alle origini</b> <br />
<br />
In effetti è Ratzinger che l’ha firmata. Ma in fondo alla dichiarazione c’è anche scritto che Giovanni Paolo II l’ha “ratificata e confermata con certa scienza e con la sua autorità apostolica, e ne ha ordinata la pubblicazione”. E a fugare ogni equivoco, domenica 1 ottobre 2000 interviene pubblicamente il papa in persona a ribadire che la “Dominus Iesus” è stata da lui voluta e “approvata in forma speciale”. <br />
<br />
Quanto alle specifiche accuse di parte ecclesiastica, è lo stesso Ratzinger a controbatterle, in un’intervista alla “Frankfurter Allgemeine Zeitung” riprodotta l’8 ottobre dall’”Osservatore Romano”. La “Dominus Iesus”, dice il cardinale, ha ripreso i testi conciliari “senza aggiungere o togliere nulla”. Sia Cassidy che Kasper “hanno partecipato attivamente alla stesura del documento” e “quasi tutte le loro proposte sono state accolte”. Se un problema di comprensibilità c’è, “il testo va tradotto, non disprezzato”. Ma soprattutto, “con questa dichiarazione, la cui redazione ha seguito fase per fase con molta attenzione, il papa ha voluto offrire al mondo un grande e solenne riconoscimento di Gesù Cristo come Signore nel momento culminante dell’Anno Santo, portando così con fermezza l’essenziale della fede cristiana al centro di questo evento”. <br />
<br />
Le polemiche sulla “Dominus Iesus”, conclude Ratzinger, non devono oscurare il suo vero obiettivo, che è quello di riaffermare con forza “l’essenza del cristianesimo”, riassunta dall’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinti (12, 3) nella formula di fede “Gesù è il Signore”. <br />
<br />
Ed è proprio quest’ultimo richiamo a lasciare il segno. Un cardinale teologo, l’arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi, lo riprende e rilancia con parole appuntite: “Che la congregazione per la dottrina della fede abbia ritenuto di dover intervenire con la dichiarazione ‘Dominus Iesus’ circa ‘l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù e della Chiesa’ è di una gravità senza precedenti: perché in duemila anni mai si era sentito il bisogno di richiamare e difendere verità così elementari”. <br />
<br />
Il seguito dei fatti dà conforto sia a Ratzinger che a Biffi, oltre che al papa. Nell’autunno del 2001, tra i maggiori cardinali e vescovi di tutto il mondo riuniti in sinodo a Roma, nessuno più torna a polemizzare con la “Dominus Iesus”. Anzi, i più concordano nel giudicare davvero in pericolo l’ortodossia della fede e doveroso il richiamo delle sue verità fondanti. Dupuis ha fatto ammenda e ha sottoscritto un pronunciamento vaticano nel quale si riafferma che “è contrario alla fede cattolica considerare le varie religioni del mondo come vie complementari alla Chiesa in ordine alla salvezza”. Al vertice della congregazione per la dottrina della fede, come primo collaboratore di Ratzinger, è promosso il teologo Angelo Amato, specialista in cristologia e in religioni orientali, vissuto molti anni in India, autore materiale della traccia della “Dominus Iesus”. <br />
<br />
E così Giovanni Paolo II, il 24 gennaio 2002, può ritornare con più tranquillità ad Assisi per un meeting interreligioso di preghiera simile a quello del 1986. Simile ma non uguale. Con la cura di evitare ogni apparenza di sincretismo e confusione. Ratzinger, che l’altra volta s’era tenuto lontano, questa volta ci va. La sua convinzione, che è anche la convinzione del papa, è che “va protetta la fede dei semplici”. È questa la funzione del magistero della Chiesa: “È il ‘Credo’ del battesimo, nella sua ingenua letteralità, la misura di tutta la teologia. E la Chiesa deve poter dire ai suoi fedeli quali opinioni corrispondono alla fede e quali no”. <br />
<br />
Insomma, tra il primo e l’ultimo dei suoi viaggi ad Assisi, Giovanni Paolo II ha accompagnato l’intera Chiesa a riscoprire la sua sorgente di vita, la ragione del suo essere: “Dominus Iesus”, Gesù è il Signore.</span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-216012988452644382002-02-04T07:25:00.000-08:002011-09-06T07:29:59.131-07:00Questo Pontefice così "guerriero" è lo stesso di Assisi<div style="margin-bottom: 5.75pt; margin-right: 8.65pt; text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS"; font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">di<b> Vittorio Messori</b></span></div><div style="margin-bottom: 5.75pt; margin-right: 8.65pt; text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS"; font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-font-size: 8.5pt;">4 febbraio 2002 (Corriere della Sera)</span></div><div style="margin-bottom: 5.75pt; margin-right: 8.65pt; text-align: justify;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS';">Una fede debole e una morale forte, anzi fortissima? E' questa la «cifra» del presente pontificato? No, non è così: una simile formula sarebbe del tutto abusiva. Eppure, va riconosciuto che -al di là delle intenzioni ecclesiali- potrebbe essere questo il messaggio che giunge a chi sbircia giornali e telegiornali, senza voglia né mezzi per analisi più approfondite. Tre, in effetti, le notizie che si sono succedute: l'incontro interreligioso di Assisi; il discorso per l'inaugurazione dei tribunali ecclesiastici, con il richiamo ad avvocati e giudici per una sorta di «obiezione di coscienza» in tema di separazioni; infine, l'appello di ieri per il riconoscimento giuridico dell' embrione. Ebbene: c'è il sospetto che, nell'impressione della gente, i due appelli papali -contro il divorzio e contro l'aborto- siano entrati in corto circuito con quella adunata assisana il cui programma era strutturato per farne un grande spettacolo televisivo. Si è voluto, dunque, la maggiore platea, la folla indifferenziata, alla quale è però giunto un messaggio brutalmente semplificato. Che il rischio di una parvenza di sincretismo, cioè di una mescolanza tra diverse religioni, fosse reale l'ha mostrato Giovanni Paolo II stesso che, la domenica prima, ha ritenuto opportuno parlarne, naturalmente per escluderlo. Si sono ripetuti i giochi di parole del 1986, primo raduno di Assisi («non pregare insieme ma insieme per pregare») e si sono precettati dei teologi per fare sottili distinguo che fugassero equivoci e malintesi. Non entreremo, qui, nelle loro argomentazioni. Qui restiamo, umilmente, sul piano dell'esperienza. Quella di chi conosce l'impossibilità, per il media system, di «far passare», a livello di massa, messaggi complessi e sfumati, che esigano impegno di riflessione. Ogni giornalista sa che, per la maggioranza dei suoi utenti, ogni notizia si riduce al titolo che, sbrigativamente, la riassume. Il mezzo televisivo, poi, è ancor più semplificatore. E' indubbio, dunque, che (al di là, com'è ovvio, delle generose e limpide intenzioni papali) ciò che è stato recepito è un messaggio del genere: Dio si manifesta in molti modi, così che ogni religione ha pari verità e dignità; ciascuno militi, al meglio, nella tradizione religiosa in cui si trova; la si smetta con apostolati e missioni che non rispettano le credenze degli altri e neppure il piano divino che non esige una sola Verità; ciò che conta non è il nome del Dio nei Cieli ma l'impegno sulla terra di tutti quelli che credono in Lui, quale che sia il suo volto; il bene supremo non è la salvezza eterna, ma una realtà terrena come la pace tra le nazioni. Tutto questo è lontanissimo dal magistero di Giovanni Paolo II e sarebbe assurdo sospettare un simile Pastore di un penchant per una «fede debole», variante teologica del laico «pensiero debole». Eppure, com'era del tutto prevedibile, questo l'effetto concreto del grande raduno dove, tra l'altro, gli animisti africani, invocando pace dai loro Dei, hanno sacrificato un pollo sull'altare. Ebbene: dopo avere dato l'impressione, seppure abusiva, che ogni idea del divino valga l'altra, ecco il richiamo agli irrinunciabili cardini morali della Chiesa. Ecco il ribadire l'indissolubilità del matrimonio e la sacralità della vita sin dal concepimento. Ma queste due convinzioni sono unicamente cattoliche: non solo per islamici ed ebrei, ma anche per tutte le altre confessioni cristiane il divorzio è, in qualche modo, ammesso. E la condanna così radicale dell'aborto non unisce di certo tutte le religioni. Da qui, lo spuntare di inquietanti domande: se la dottrina di ogni religione è accetta a Dio, perché ostinarsi a seguire quella cattolica che, tra tutte, è la più severa e rigida? Perché debbo tormentarmi la coscienza e magari temere l'inferno se divorzio o abortisco, mentre tutti gli «altri» di Assisi no? «Fare il cattolico» non è, per caso, inutilmente gravoso? Domande sbagliate, ovviamente. Ma che, forse, non circolerebbero tra la gente se non si fosse rischiato di dimenticare che la Prudenza è la prima tra le virtù cardinali cristiane.<span class="Apple-style-span" style="font-size: x-small;"><o:p></o:p></span></span></div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4342416820985282406.post-60884981533873462972002-01-21T07:47:00.000-08:002011-09-06T07:57:16.494-07:00Le contraddizioni di Assisi<div class="articolo" style="line-height: 10.35pt; margin-bottom: 5.75pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.75pt; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS'; font-size: x-small;"><span class="Apple-style-span" style="background-color: white; font-family: Verdana, Arial, Helvetica, serif; font-size: 12px; line-height: 18px;">di Gianni Baget Bozzo</span></span></div><div class="articolo" style="line-height: 10.35pt; margin-bottom: 5.75pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.75pt; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS'; font-size: x-small;"><span class="Apple-style-span" style="background-color: white; font-family: Verdana, Arial, Helvetica, serif; font-size: 12px; line-height: 18px;">da Panorama del 21/01/2002</span></span></div><div class="articolo" style="line-height: 10.35pt; margin-bottom: 5.75pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.75pt; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS'; font-size: x-small;"><span class="Apple-style-span" style="background-color: white; font-family: Verdana, Arial, Helvetica, serif; font-size: 12px; line-height: 18px;">Roma non è più Roma, il Papato assume una veste cangiante, sembra piuttosto il governo di un uomo che il governo di una Tradizione. La tradotta di Assisi che porterà gli uomini delle religioni a pregare Dio perché non comandi più stragi in suo nome farebbe la gioia di Voltaire. Tutte le religioni si riconoscono omicide e promettono l'una all'altra di non farlo più. Infine Assisi sarebbe l'alto luogo dell'agnosticismo religioso: chi è agnostico, in quanto tale, non fa stragi in nome di Dio. C'è dunque in questa tradotta di religiosi qualcosa di eminentemente ironico, sembrerebbe un esorcismo alla violenza religiosa.</span></span></div><div class="articolo" style="line-height: 10.35pt; margin-bottom: 5.75pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.75pt; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="background-color: white; font-family: Verdana, Arial, Helvetica, serif; font-size: 12px; line-height: normal;"></span></div><div class="articolo" style="line-height: 18px; margin-bottom: 10px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 0px; padding-top: 0px; text-align: justify;">Partecipando a questo simposio, i cristiani fanno torto a sé stessi, perché in realtà essi non hanno mai ucciso in nome di Dio, ma in nome dell'ordine pubblico: la Chiesa era bene attenta a non uccidere l'eretico ricaduto, lo consegnava allo Stato e questi lo bruciava perché l'ortodossia faceva parte dell'ordine civile della società. La Chiesa insomma stava ben attenta che l'eresia come tale non fosse la causa diretta di esecuzione capitale.</div><div class="articolo" style="line-height: 18px; margin-bottom: 10px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 0px; padding-top: 0px; text-align: justify;">Si dirà che queste sono distinzioni verbali, che il fuoco bruciava fosse della Chiesa o dello Stato. Ma quando la Rivoluzione prese il posto dell'Inquisizione e lo Stato nazionalista o rivoluzionario eretto la bandiera della laicità e dell'ateismo, è stata persino possibile l'apologia della Santa Inquisizione che fece, nella più rigorosa procedura legale, un numero risibili di vittime. Del resto, colui che instaurò la pena del fuoco per l'eretico fu il più laico dei sovrani medievali, Federico secondo. L'Islam invece contiene il precetto di uccidere l'infedele in nome di Dio. Ed in realtà la riunione di Assisi è fatta per cercare di dissociare gli islamici da questo chiaro precetto del Corano, degli hadith e della Sunna: uccidere l'infedele, lapidare l'adultera. Fatica sprecata, Santo Padre.</div><div class="articolo" style="line-height: 18px; margin-bottom: 10px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 0px; padding-top: 0px; text-align: justify;">Sembra non importare che i musulmani continuino ad ammazzare i cristiani in nome di Dio in tutte le aree dove esiste spazio alla violenza, a cominciare dalla tragedia sudanese e che infine siano ben pochi gli ulema che hanno condannato gli attentati delle due torri. Quello che importa è disegnare un Cristianesimo in cui il culto della tolleranza è divenuto l'unico contenuto etico religioso di Gesù di Nazareth.</div><div class="articolo" style="line-height: 18px; margin-bottom: 10px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 0px; padding-top: 0px; text-align: justify;">Il Cristo Re dell'Apocalisse è dimenticato: i cristiani sono destinati a tacere e a subire dove sono perseguitati ed ad essere elogiati dalla cultura laica per la loro tolleranza e dai no global per la loro intransigenza contro il geneticamente modificato ed il peccato ideologico. Tanto che avviene ad un povero cristiano la domanda se sia rimasto soltanto il povero a chiedere se la Chiesa abbia una struttura mistico dogmatica o se l'illuminismo ha vinto la sua battaglia nella Chiesa per resa dell'avversario. "Io sono la via, la Verità, e la Vita" sono l'autodefinizione di Gesù nei Vangeli. Rosenszvweig ed ora Michel Henry, scrivono da filosofi che il proprio del Cristo è dire "Io sono la Verità". Parole intolleranti, a cui è molto meglio contrapporre la saggezza antica nella parola di Pilato "che cosa è la verità? " Ma che senso ha il Papato se la Verità non è più l'attributo del Cristo ma lo diventa la tolleranza, che ha sempre in sé una forma di indifferenza alla verità? La fine del regno di Giovanni Paolo secondo sconcerta il cattolico che vede nel Papa non la sicurezza della Tradizione ma la provocazione del "fare notizia".</div>Parati semperhttp://www.blogger.com/profile/06808123282709339334noreply@blogger.com