28.10.11

Il Papa abbraccia i cercatori di Dio

di Giacomo Samek Lodovici
28/10/2011

Nel suo intervento ad Assisi Papa Benedetto XVI ha fatto un elogio dell’agnosticismo?

Il Papa ha apprezzato una classe di agnostici, quelli che sono alla ricerca di risposte su Dio, sull’immortalità dell’anima, sui destini ultimi dell’essere umano, quelli a cui «non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: "Non esiste alcun Dio". Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui».

27.10.11

ASSISI 2011 - Intervento di S.S. Benedetto XVI



Cari fratelli e sorelle,
distinti Capi e rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali e delle religioni del mondo,
cari amici,

sono passati venticinque anni da quando il beato Papa Giovanni Paolo II invitò per la prima volta rappresentanti delle religioni del mondo ad Assisi per una preghiera per la pace. Che cosa è avvenuto da allora? A che punto è oggi la causa della pace?

22.10.11

Le religioni ad Assisi. Nessuna rinuncia alla Verità.



L'incontro delle religioni ad Assisi è ormai alle porte, venticinque anni dopo quella prima volta che tanti esaltarono e altri osteggiarono più o meno radicalmente.
«In riferimento ad Assisi – tanto nel 1986 quanto nel 2002 – ci si è chiesti ripetutamente e in termini molto seri se questo sia legittimo. La maggior parte della gente non penserà che si finge una comunanza che in realtà non esiste? Non si favorisce così il relativismo, l’opinione che in fondo siano solo differenze secondarie quelle che si frappongono tra le “religioni”? Non si indebolisce così la serietà della fede [...]? (J. Ratzinger – Fede, Verità Tolleranza, Ed. Cantagalli)
Sono questi gli interrogativi alla base del Convegno tenuto il 1 ottobre 2011 a Roma, domande che richiedono una risposta seria ed equilibrata. In questo libro - “Le religioni ad Assisi. Nessuna rinuncia alla Verità” (Ed. Fede&Cultura, pag. 144, € 12) - gli autori ci guidano sui passi di Benedetto XVI per cercare di capire il senso degli incontri di Assisi e a guardarci da pericolose interpretazioni sincretistiche e relativiste, che minerebbero la verità della fede, che è Gesù Cristo, Verbo di Dio.
La riflessione si sviluppa principalmente intorno al documento Dominus Iesus dell'anno 2000, un documento per cui il Card. Biffi ebbe a dire: “Che la congregazione per la dottrina della fede abbia ritenuto di dover intervenire con la dichiarazione ‘Dominus Iesus’ circa ‘l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù e della Chiesa’ è di una gravità senza precedenti: perché in duemila anni mai si era sentito il bisogno di richiamare e difendere verità così elementari”.
Anche il Card. Burke, nel suo intervento al Convegno “Pellegrini della Verità verso Assisi”, ha definito la Dominus Iesus “provvidenziale”, “infatti, molti – i fautori della discontinuità – ritenevano che col Vaticano II la Chiesa dovesse abbandonare il suo insegnamento assertivo e censorio, per limitarsi ad una descrizione dei dati di fede di tipo pastorale, lasciando così pullulare gli errori. Invece, il Magistero funge da guida per i fedeli, indicando loro la verità rivelata da custodire fedelmente e mettendoli in guardia dagli errori dottrinali e morali.”
Oltre al Card. Burke intervengono in questo lavoro, Mons. Guido Pozzo, P. Serafino Lanzetta, Don Mauro Gagliardi, Don Alessandro Olivieri Pennesi, Don Nicola Bux, Don Manfred Hauke, Corrado Gnerre e Lorenzo Bertocchi.
Ciò che emerge dai contributi degli autori non è un voler dare a tutti i costi una lettura positiva degli incontri di Assisi, si cerca, invece, di rispondere a quesiti difficili che non possono essere risolti in modo sbrigativo.
Il prof. Gnerre, firmatario insieme ad altri di un appello al Santo Padre sui rischi degli incontri di Assisi, pur rimanendo convinto di questa sua adesione, ha detto: “il fatto che abbia firmato l’appello non mi impedisce però di formulare un augurio e nutrire una speranza per il 27 ottobre. La speranza che si tengano pienamente in considerazione le parole che Benedetto XVI pronunziò in occasione dell'udienza generale del 14 maggio 2008, evocando la figura di Dionigi l'Aeropagita: «[] il dialogo non accetta la superficialità. Proprio quando uno entra nella profondità dell'incontro con Cristo si apre anche lo spazio vasto per il dialogo. Quando uno incontra la luce della verità, si accorge che è una luce per tutti; scompaiono le polemiche e diventa possibile capirsi l'un l'altro o almeno parlare l'uno con l'altro, avvicinarsi.”
Per questo – ha concluso il prof. Gnerre - “si vada ad Assisi per incontrare la Luce… e non si dimentichi che questa Luce è venuta perché tutti l’accolgano”.
D'altra parte questa era anche la convinzione di S. Francesco di Assisi che, come ricordava Giovanni Paolo II il 2 ottobre 1981, era ben consapevole che “il mistero della salvezza ci è rivelato ed è continuato e realizzato nella Chiesa, e da questa genuina ed unica fonte raggiunge, come acqua “umile, utile, preziosa e casta”, il mondo intero”.

QUI è possibile acquistare il libro: http://fedecultura.com/Religioni_ad_Assisi.aspx

10.10.11

Don Nicola Bux: Lumen Gentium cum esset Christus



L'interessante intervento di Mons. Nicola Bux ha aperto una finestra su come gli incontri di Assisi siano stati erroneamente recepiti dal mondo cattolico. Emblematico a tal riguardo è l'esempio eclatante di cui parla: “Una targa bronzea nel porticato antistante la basilica inferiore di san Francesco d’Assisi recita: Joannes Paulus II cunctis in orbis Dei cultoribus in spiritu et veritate convocatis… ; pensavo che  commemorasse un raduno mondiale di cristiani. Il culto 'in spirito e verità', dovrebbe essere quello fondato sul riconoscimento di Gesù Cristo, il Figlio nel quale Dio si è pienamente rivelato, ha fatto conoscere il suo volto... Invece la targa assisiana non si riferisce ai cristiani ma ai rappresentanti delle religioni convenuti il 2001 alla preghiera per la pace. Qualcosa è cambiato. 
Quella lapide riporta una opinione diffusa tra i cattolici, che tutte le religioni riconoscano in fondo il medesimo Dio e lo adorino in spirito e verità”.

5.10.11

L'intervento del prof. don Manfred Hauke

L'intervento del prof. Don Manfred Hauke, docente di Dogmatica e Patrologia alla Facoltà teologica di Lugano, ha fornito alcuni elementi fondamentali per potersi orientare all'interno della teologia delle religioni, che negli ultimi anni ha prodotto una grande quantità di pubblicazioni, non sempre conformi alla fede cattolica.

4.10.11

L'intervento di P. Serafino Lanzetta



L’intervento iniziale del Convegno ha visto impegnato P. Serafino Lanzetta, professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice. La sua interessante relazione è stata centrata nella prospettiva della “Dominus Iesus” (La Dominus Iesus: l'unicità salvifica di Cristo e della Chiesa) , famoso documento della Congregazione della Dottrina della Fede che risale all’anno 2000, anno in cui era Prefetto l’allora Card. Ratzinger.
Dopo aver indicato come questo documento sia una risposta del Magistero ai problemi teologici del pluralismo religioso, P. Lanzetta è passato ad affrontare alcuni nodi importanti che emergono dalla “Dominus Iesus”.

3.10.11

Mons. Pozzo celebra la S.Messa che apre il Convegno



Mons. Guido Pozzo – Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei - ha celebrato in Rito Romano Antico la S.Messa di apertura della giornata di lavori del Convegno “Pellegrini della Verità verso Assisi”.
Nell’omelia si è soffermato sulla compassione mariana, “porta che ci apre il cuore di Dio stesso”. “Non si può stare presso la Croce di Gesù se non si sta anche presso Maria. E’ proprio lì, ai piedi della Croce, che Maria è diventata Madre della Chiesa.”
Stare – ricorda Mons. Pozzo commentando la Parola di Dio – è espressione della fedeltà. E questo è il primo insegnamento importante di Maria in questo passo del Vangelo”.

Interessante dibattito con un inedito


Il Santo Padre ha voluto sottolineare il concetto di pellegrinaggio verso la verità: non uno stare insieme per pregare insieme in un modo disparato con il rischio di confondere la fede rivelata soprannaturale con le credenze religiose umane e naturali, ma un camminare insieme verso l’unica Verità”. Con queste parole il Card. R.L. Burke è intervenuto al Convegno “Pellegrini della Verità verso Assisi“, organizzato dall’Associazione Catholica Spes e tenuto il 1 ottobre a Roma, per evidenziare il significato della prossima giornata convocata il 27 ottobre ad Assisi.

6.9.11

Il prossimo 27 ottobre ad Assisi si terrà la giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, il Santo Padre ha invitato a questo incontro i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, più in generale, tutti gli uomini di buona volontà.

29.7.11

Ebrei e cattolici verso Assisi - Dibattito Card. Koch - Rabbino Capo Di Segni

La lingua del dialogo deve essere comune

di RICCARDO DI SEGNI

Nell'"Osservatore Romano" del 7 luglio, Sua Eminenza il Cardinale Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, ha proposto alcune riflessioni sul significato della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo che avrà luogo il 27 ottobre ad Assisi.
Le riflessioni del Cardinale coinvolgono il dialogo interreligioso e nell'ultima parte dell'articolo vi sono dei riferimenti ai rapporti con l'ebraismo. Su questi punti vorrei tornare, perché si tratta di aspetti essenziali e decisivi del problema del dialogo e delle sue regole. Il Cardinale scrive che la croce di Gesù "si erge sopra di noi come il permanente e universale Yom Kippur", e "pertanto la croce di Gesù non è di ostacolo al dialogo interreligioso; piuttosto, essa indica il cammino decisivo che soprattutto ebrei e cristiani [...] dovrebbero accogliere in una profonda riconciliazione interiore diventando così fermento di pace e di giustizia nel mondo". Ferma restando la condivisione degli obiettivi di pace e giustizia, temo che queste parole, benché ispirate da fraternità e da buona volontà, se non vengono spiegate meglio, possano denunciare i limiti di un certo modo di fare dialogo da parte cristiana. Per capire l'impatto che queste parole possano avere su un lettore ebreo, è necessaria qualche spiegazione. Yom Kippur, il giorno dell'espiazione di istituzione biblica, è una data fondamentale del calendario liturgico ebraico. È il giorno in cui è concessa la remissione dei peccati. Nel passaggio tra ebraismo e cristianesimo, quest'ultimo ha ripreso alcune ricorrenze dell'ebraismo (come la Pasqua), integrandone il significato con gli elementi della sua fede. Questo non è successo però per tutte le ricorrenze ebraiche autunnali, tra cui il Kippur; una possibile spiegazione di questa assenza è che la fede cristiana ha assorbito in sé il valore espiatorio del Kippur, che non le è più necessario; ed è quello che dice qui il Cardinale parlando della Croce; ma d'altra parte il fedele ebreo che continua a celebrare il Kippur afferma implicitamente che per lui la Croce non è necessaria. Ma allora che cosa c'è di problematico nelle parole del Cardinale, che in apparenza non fa che affermare i principi della sua fede? Se fosse solo così, non sarebbe criticabile; non si può certo chiedere, nella cornice del dialogo, che uno dei due interlocutori rinunci o nasconda o eviti di testimoniare la sua fede, per un malinteso senso di rispetto nei confronti dell'altro; il dialogo presuppone la differenza. Ma il punto è che bisogna vedere cosa ci si fa con la differenza. Mi pare di cogliere nelle parole del Cardinale, in tutto il suo articolo, prima di tutto la necessità di dimostrare alla propria comunità che la necessità e l'urgenza del dialogo sono radicate nei principi della fede; e fin qui è un impegno lodevole, anche perché può esistere una minoranza di cattolici che non condivide ancora queste idee. Ma ben diversa è la sua proposta all'interlocutore ebreo di farsi indicare "il cammino decisivo" da simboli che non condivide. Tanto più quando questi simboli vengono presentati come sostituzioni, con valore aggiunto, dei riti e dei simboli in cui crede l'interlocutore. Il credente cristiano può certamente pensare che la Croce rimpiazzi in modo permanente e universale il giorno del Kippur, ma se desidera dialogare sinceramente e rispettosamente con l'ebreo, per il quale il Kippur rimane parimenti nella sua valenza permanente e universale, non deve proporre all'ebreo le sue credenze e interpretazioni cristiane come indici del "cammino decisivo". Perché allora veramente si rischia di rientrare nella teologia della sostituzione e la Croce diventa ostacolo. Il dialogo ebraico-cristiano soffre inevitabilmente di questo rischio, perché l'idea della realizzazione delle promesse ebraiche è base della fede cristiana; quindi l'affermazione di questa fede contiene sempre un'implicita idea di integrazione, se non di superamento della fede ebraica. Questo anche quando si dichiara, con il Concilio e Nostra aetate, che le promesse al popolo ebraico sono irrevocabili. Ma la propria differenza non può essere proposta all'altro come il modello da seguire. In questo modo si supera un limite che nel rapporto ebraico-cristiano può sembrare sfumato ma che deve essere invalicabile. Perlomeno non è un modo di dialogare che possa interessare gli ebrei. Per usare un'espressione oggi molto comune, è come passare dall'et et all'aut aut. La lingua del dialogo deve essere comune e il progetto deve essere condiviso. Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli ebrei il cammino della Croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi.

(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2011)


Ebrei e cattolici verso il prossimo incontro di Assisi

Sicuramente la Croce non è un ostacolo

di KURT KOCH

Posso capire che il Rabbino Capo Di Segni abbia reagito in maniera così sensibile al mio articolo sulla "Giornata di riflessione, dialogo e preghiera" ad Assisi. Difatti, vi si menzionava un tema che non solo è pesantemente connotato dal punto di vista storico ma costituisce anche oggi una difficile questione nel dialogo ebraico-cattolico. Pertanto, desidero offrire brevemente le seguenti riflessioni.
Il mio articolo si rivolgeva ai lettori cristiani, a cui volevo far presente il loro compito di riconciliarsi anche e precisamente con l'ebraismo, compito che deriva dall'essenza stessa della fede cristiana. È nella logica di questa fede la centralità fondamentale della croce di Gesù come fulcro della riconciliazione tra Dio e gli uomini. Ma è anche per l'amore nutrito nei confronti dell'ebraismo e per l'amicizia, degna di riconoscenza, che mi è stata testimoniata dal Rabbino Capo Di Segni, che ho voluto far riferimento alla croce, dato che questa è stata a lungo considerata come un grande ostacolo alla riconciliazione tra cristiani ed ebrei. Volevo infatti mostrare che, partendo precisamente dall'evento della croce, i cristiani hanno il dovere di riconciliarsi con gli ebrei. Per i cristiani la croce non può essere "un ostacolo al dialogo interreligioso". Se i rappresentanti di altre religioni e soprattutto gli ebrei, la vedono in tal modo, non sta a me giudicare; ciò si iscrive piuttosto nella libertà della convinzione religiosa di ognuno. Non ritengo assolutamente che gli ebrei debbano vedere la croce come noi cristiani per poter intraprendere insieme il cammino verso Assisi. Il fatto che Yom Kippur rappresenti una data fondamentale nel calendario liturgico ebraico e che rivesta un'importanza centrale per la fede ebraica è per me fuori discussione e lo rispetto. A me stava a cuore semplicemente il compito comune della riconciliazione e della pace, sapendo bene che per entrambe la motivazione è diversa negli ebrei e nei cristiani. Tutto ciò che esula da questo rispetto reciproco contraddirebbe lo spirito nel quale Papa Benedetto XVI rivolge il suo invito a partecipare alla Giornata di Assisi.
Alla luce di ciò, non si intende pertanto sostituire lo Yom Kippur ebraico con la croce di Cristo, anche se i cristiani vedono nella croce "il permanente e universale Yom Kippur". Ecco che viene qui toccato il punto fondamentale, molto delicato, del dialogo ebraico-cattolico, ovvero la questione di come si possano conciliare la convinzione, vincolante anche per i cristiani, che l'alleanza di Dio con il popolo d'Israele ha una validità permanente e la fede cristiana nella redenzione universale in Gesù Cristo, in modo tale che, da una parte, gli ebrei non abbiano l'impressione che la loro religione è vista dai cristiani come superata e, dall'altra, i cristiani non debbano rinunciare a nessun aspetto della loro fede. Senz'altro, tale questione fondamentale occuperà ancora a lungo il dialogo ebraico-cristiano; qui può essere menzionata solo brevemente. Tuttavia, essa non è sicuramente un ostacolo al fatto che cristiani ed ebrei, nel reciproco rispetto davanti alle rispettive convinzioni religiose, s'impegnino a promuovere la pace e la riconciliazione e s'incamminino insieme, così, verso Assisi.

(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2011)

12.7.11

Nei crocevia difficili della storia


di Andrea Riccardi (Comunità di Sant'Egidio)
Osservatore Romano del 12/07/2011

Siamo a venticinque anni dall’evento di Assisi del 1986: il mondo è tanto cambiato. Allora la cultura occidentale considerava le religioni come una realtà che la modernità avrebbe spazzato via o ridotto agli angoli privati della vita. Il beato Giovanni Paolo II, al contrario, aveva intuito la forza pubblica delle religioni, nonostante la secolarizzazione. Sapeva che le religioni potevano essere attratte dalle passioni belliciste. Preoccupato per la guerra fredda, convocò i leader cristiani e delle religioni mondiali ad Assisi. Non mancavano modelli d’incontro tra religioni: spesso dialoghi, non rispettosi della sostanza di fede — che riposavano sull’idea di religioni in fondo tutte uguali — si erano alternati ad appelli dei leader religiosi per l’una o l’altra causa politica.
Giovanni Paolo II era lontano da tali modelli. Volle Assisi come una giornata di preghiera e di silenzio, in cui non si discutesse o si negoziasse: diversa dai congressi interreligiosi. Niente di più lontano dalla circolante idea dell’Onu delle religioni. Il fulcro fu l’invocazione di pace: «Forse mai come ora nella storia dell’umanità — disse — è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il gran bene della pace».
L’evento stupì il mondo, colpito dall’immagine del Papa tra i leader religiosi. Qualcuno ne parlò come di uno spettacolo televisivo più che una seria discussione. C’era invece una bellezza di quell’immagine del 1986, che conquistò la gente. Anche la pace ha bisogno di toccare il cuore dei popoli, talvolta affascinati dalla guerra — come si vide dopo il 1989 con il risorgere delle passioni belliciste e il culto della guerra. L’evento del 1986 interpretò l’«estetica» della pace, forte di una carica spirituale. Fu — ha scritto Benedetto XVI — una «puntuale profezia». Ci volevano una tregua dello spirito e delle armi, richieste da Papa Wojtyła il 4 ottobre 1986 a Lione in un appello — troppo dimenticato — a politici e signori della guerra.
Giovanni Paolo II respinse sempre chiaramente l’idea di Assisi come la manifestazione di una specie di interreligione, auspicata da circoli ristretti. La volle come la rappresentazione plastica di quanto il Vaticano II insegna con la Nostra aetate. Da subito, il Papa proclamò la sua fede in Cristo e disse il rispetto per le altre credenze. La sua idea era che, da quel momento, dovesse partire un movimento per coinvolgere i credenti delle varie religioni: «quell’evento — ha scritto all’Incontro internazionale di preghiera per la pace di Lisbona nel 2000 — non poteva rimanere isolato. Aveva, infatti, una forza spirituale dirompente: era come una sorgente da cui cominciavano a scaturire nuove energie di pace. Per questo ho auspicato che lo “spirito di Assisi” non si estinguesse, ma potesse espandersi per il mondo». Il Papa era convinto che tale spirito dovesse vivere nel quotidiano, come raccomandò per il sinodo libanese; ma pensava che ci fosse bisogno anche di momenti simbolici. Che un movimento dello spirito dovesse sorgere, lo si sente nella parole di commiato ad Assisi: «La pace attende i suoi artefici (…) La pace è un cantiere, aperto a tutti e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale».
Infatti, scaturì un rinnovato impegno dei cattolici per la pace, con attenzione alla fondamentale dimensione della preghiera e ai rapporti con i seguaci delle diverse religioni. Ne emerse anche un concreto impegno per spegnere il fuoco della guerra in varie parti del mondo. È cresciuta, in venticinque anni, la consapevolezza che i cristiani hanno una «forza di pace» e non sono condannati alla passività o alla protesta verbale. Ricordo che, alla giornata di Assisi, si seppe della morte del presidente del Mozambico in un incidente e, in quel quadro, si avviò la mediazione tra belligeranti che avrebbe condotto alla pace nel Paese — dopo un milione di morti. Un senso spirituale del valore della pace conduceva a un’operosità concreta — non declamatoria — per vivere in pace tra diversi e per lenire tensioni e violenze. Sarebbe da scrivere una storia dell’impegno dei cristiani e della Chiesa per la pace tra gli anni Ottanta e la fine del secolo.
La locuzione «spirito di Assisi» ha avuto interpretazioni talvolta incerte o erronee; ma nel suo corretto significato illumina l’impegno della Chiesa nel servizio all’unità delle genti, che è anche comprensione e dialogo tra popoli credenti. Quando si parla di religioni, infatti, non si deve pensare a realtà uguali né da un punto di vista teologico, né sociologico e organizzativo. Esistono i popoli credenti, impregnati di tradizioni religiose che fanno riferimento a figure istituzionali o carismatiche. Un atteggiamento pacifico tra «religioni» vuol dire pace tra popoli credenti: espelle la violenza dai rapporti mutui, fa prendere coscienza che le reali diversità non fondano odio o disprezzo.
Il movimento iniziato ad Assisi è continuato. Il mondo francescano, in tanti Paesi, se ne è fatto carico. La Comunità di Sant’Egidio organizza incontri annuali tra leader religiosi in differenti città del mondo nello spirito del 1986: da Roma a Varsavia nel 1989 (con un pellegrinaggio ad Auschwitz, a cui parteciparono i musulmani) a Malta, Gerusalemme, Lione, Bucarest (evento che aprì al viaggio di Giovanni Paolo II in quel Paese, come ha dichiarato il patriarca Daniel), fino a Cipro o altrove. In una delle sue lettere a questi incontri — per Palermo 2002 — il Papa scrisse che il 1986 «segnò l’inizio di un nuovo modo di incontrarsi tra credenti di diverse religioni: non nella vicendevole contrapposizione e meno ancora nel mutuo disprezzo, ma nella ricerca di un costruttivo dialogo in cui, senza indulgere al relativismo né al sincretismo, ciascuno si apra agli altri con stima, essendo tutti consapevoli che Dio è la fonte della pace». Così Giovanni Paolo II concluse: «Da allora, quasi prolungando lo “spirito di Assisi”, si è continuato ad organizzare queste riunioni di preghiera e di comune riflessione e ringrazio la Comunità di Sant’Egidio per il coraggio e l’audacia con cui ha ripreso lo “spirito di Assisi” che di anno in anno ha fatto sentire la sua forza in diverse città del mondo».
Al cammino di Assisi si sono aggiunti vari leader religiosi e, specie dagli anni Novanta, parecchi non credenti: faccio l’esempio tra i molti del presidente portoghese Soares o di Jean Daniel, sensibili al tema della pace e del suo fondamento spirituale. Progressivamente l’incontro tra religioni e culture ha preso corpo, ruotando attorno alla giornata di preghiera e di silenzio, con un colloquio in cui ci si confrontasse in modo amichevole e ragionevole. Così l’evento di Assisi del 1986 è divenuto una manifestazione — non quotidiana ma «straordinaria» — di pace tra popoli credenti, ripetuta con cadenza annuale, sollecitatrice di comprensione a livello locale e nel quotidiano. Ha alimentato una reale amicizia tra credenti di varie religioni e tra questi e i laici. Infatti il «dialogo» non ha solo una portata intellettuale, ma suscita amicizia, fatto rilevante tra mondi e persone che si ignorano o sono tentati dalla contrapposizione.
Giovanni Paolo II ha vissuto l’incontro con i seguaci delle diverse religioni nei suoi viaggi apostolici: «tutti i viaggi sono un po’ la continuazione di Assisi. E Assisi è già un fatto possiamo dire irreversibile (…) E si deve dire che Assisi era frutto di tanti viaggi», dichiarò di ritorno dall’Asia. Nel 1994, con il conflitto nei Balcani, il Papa è tornato ad Assisi con ebrei e musulmani — mancavano gli ortodossi — per pregare per la pace. Cinque anni dopo, ha guidato in piazza San Pietro un’assemblea di leader religiosi alla vigilia del grande giubileo: «Il compito che dovremmo affrontare — disse — sarà quello di promuovere una cultura del dialogo. Da soli e tutti insieme, dobbiamo dimostrare che la fede religiosa ispira la pace».
Dopo il terribile attentato alle Torri Gemelle, nel 2002, l’idea di Assisi è sembrata a molti anacronistica o ingenua. Non era in corso uno scontro di religione e di civiltà? Papa Wojtyła, con un gesto solenne — dopo aver chiesto ai cattolici di digiunare l’ultimo giorno del Ramadan — volle di nuovo la preghiera ad Assisi. Si apriva un decennio di grande tensione, mentre — di fronte alla cieca violenza terroristica — l’accostamento benevolo tra religioni sarebbe stato tacciato di ingenuità. Osama bin Laden, in uno dei suoi proclami aggressivi, ha dichiarato: «loro vogliono il dialogo, noi la morte». Spesso si è affermato un atteggiamento liquidatorio verso il colloquio tra mondi religiosi.
Conviene sottolineare la via tracciata da Benedetto XVI con i suoi incontri dalla moschea blu di Istanbul alla sinagoga di Roma, che, in ottobre 2011, giungerà ad Assisi. Parlando a Napoli, nel 2007, all’incontro dei leader religiosi promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, il Papa ha affermato: «tutti siamo chiamati a lavorare per la pace e ad un impegno fattivo per promuovere la riconciliazione tra i popoli. È questo l’autentico “spirito di Assisi”, che si oppone ad ogni forma di violenza e all’abuso della religione quale pretesto per la violenza». La logica dello scontro non è il futuro dell’umanità. Ma bisogna orientare cuori e menti non allo scontro di civiltà, ma alla civiltà del vivere insieme: ciò richiede il coinvolgimento delle energie spirituali. Il Papa concludeva a Napoli: «Di fronte a un mondo lacerato dalla violenza, dove talvolta si giustifica la violenza in nome di Dio, è importante ribadire che mai le religioni possono divenire veicoli di odio (…) Al contrario, le religioni possono e devono offrire preziose risorse per costruire un’umanità pacifica, perché parlano di pace al cuore dell’uomo». Sarà la sfida di Assisi nel 2011, ma è anche quella del vivere insieme in pace tra genti di tradizione e identità differente. Nei crocevia difficili della storia, la Chiesa cattolica, mentre testimonia la sua fede in Gesù Cristo, unico Salvatore dell’umanità, serve l’unità delle nazioni, sperando di suscitare il senso della santità della pace e della vita umana nell’animo dei seguaci di tutte le religioni.

9.7.11

Anche alcuni non credenti pellegrini per la pace

di Gianfranco Ravasi,
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio della Cultura
Il 27 ottobre, ad Assisi, accanto a Benedetto XVI e alla folla di rappresentanti delle varie confessioni cristiane e delle religioni del mondo, ci sarà anche un piccolo gruppo di cinque persone, pellegrini un po’ particolari e inediti nella città di san Francesco. 

8.7.11

L'impegno delle religioni in vista dell'incontro di Assisi

di PETER KODWO APPIAH TURKSON,
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
Parlare dell’impegno delle comunità religiose per la giustizia e per la pace significa evocare la loro cooperazione in vista del bene comune della società, nel quadro di un loro dialogo. 

7.7.11

Ad Assisi un pellegrinaggio della verità e della pace

di KURT KOCH
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani

Benedetto XVI ha convocato una "Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo" in occasione del venticinquesimo anniversario del primo "Incontro interreligioso per la preghiera per la pace". 

6.7.11

Le ragioni della pace e l'unico logos

di William Joseph Levada
Cardinale prefetto della Congregazioneper la Dottrina della Fede

L'annuncio che il prossimo 27 ottobre Benedetto XVI si recherà pellegrino ad Assisi per una «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo» mostra che l'esperienza religiosa nelle sue diverse forme è oggetto dell'attenzione della Chiesa nel terzo millennio. 

4.7.11

L'incontro di Assisi tra riflessione e preghiera

di JEAN-LOUIS TAURAN
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso

Il 27 ottobre sarà celebrato, com'è noto, il venticinquesimo anniversario della storica "Giornata di preghiera per la pace nel mondo", voluta, ad Assisi, nel 1986, dal beato Giovanni Paolo II.

3.7.11

Da Assisi 1986 ad Assisi 2011 il significato di un cammino

di Tarcisio Bertone 


Il 25 gennaio del 1986, della messa celebrata nella basilica di San Paolo fuori le Mura, il beato Giovanni Paolo II pronunciò un appello, nel contesto dell'Anno internazionale della pace indetto dall'Onu, rivolto non solo ai cattolici o ai credenti in Cristo, ma anche agli appartenenti alle diverse religioni del mondo e a tutti gli uomini di buona volontà, affinché da tutti venisse invocato con insistenza il dono della pace. 

2.4.11

Comunicato Sala Stampa della Santa Sede - "Pellegrini della Verità, pellegrini della Pace"

Il 1° gennaio scorso, al termine della preghiera dell’Angelus, Benedetto XVI ha annunciato di voler solennizzare il 25° anniversario dello storico incontro tenutosi ad Assisi il 27 ottobre 1986, per volontà del venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II. In occasione di tale ricorrenza, il Santo Padre intende convocare, il 27 ottobre prossimo, una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, recandosi pellegrino nella città di San Francesco e invitando nuovamente ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà.

La Giornata avrà come tema: Pellegrini della verità, pellegrini della pace. Ogni essere umano è, in fondo, un pellegrino in ricerca della verità e del bene. Anche l’uomo religioso rimane sempre in cammino verso Dio: da qui nasce la possibilità, anzi la necessità di parlare e dialogare con tutti, credenti o non credenti, senza rinunciare alla propria identità o indulgere a forme di sincretismo; nella misura in cui il pellegrinaggio della verità è vissuto autenticamente, esso apre al dialogo con l’altro, non esclude nessuno e impegna tutti ad essere costruttori di fraternità e di pace. Sono questi gli elementi che il Santo Padre intende porre al centro della riflessione.

Per questo motivo, saranno invitate a condividere il cammino dei rappresentanti delle comunità cristiane e delle principali tradizioni religiose anche alcune personalità del mondo della cultura e della scienza che, pur non professandosi religiose, si sentono sulla strada della ricerca della verità e avvertono la comune responsabilità per la causa della giustizia e della pace in questo nostro mondo.

L’immagine del pellegrinaggio riassume dunque il senso dell’evento che si celebrerà: si farà memoria delle tappe percorse, dal primo incontro di Assisi, a quello successivo del gennaio 2002 e, al tempo stesso, si volgerà lo sguardo al futuro, con il proposito di continuare, con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a camminare sulla via del dialogo e della fraternità, nel contesto di un mondo in rapida trasformazione. San Francesco, povero e umile, accoglierà di nuovo tutti nella sua città, divenuta simbolo di fraternità e di pace.

Le delegazioni partiranno da Roma, in treno, la mattina stessa del 27 ottobre, insieme con il Santo Padre. All’arrivo in Assisi, ci si recherà presso la Basilica di S. Maria degli Angeli, dove avrà luogo un momento di commemorazione dei precedenti incontri e di approfondimento del tema della Giornata. Interverranno esponenti di alcune delle delegazioni presenti e anche il Santo Padre prenderà la parola.

Seguirà un pranzo frugale, condiviso dai delegati: un pasto all’insegna della sobrietà, che intende esprimere il ritrovarsi insieme in fraternità e, al tempo stesso, la partecipazione alle sofferenze di tanti uomini e donne che non conoscono la pace. Sarà poi lasciato un tempo di silenzio, per la riflessione di ciascuno e per la preghiera. Nel pomeriggio, tutti i presenti in Assisi parteciperanno ad un cammino che si snoderà verso la Basilica di San Francesco. Sarà un pellegrinaggio, a cui prenderanno parte nell’ultimo tratto anche i membri delle delegazioni; con esso si intende simboleggiare il cammino di ogni essere umano nella ricerca assidua della verità e nella costruzione fattiva della giustizia e della pace. Si svolgerà in silenzio, lasciando spazio alla preghiera e alla meditazione personale. All’ombra della Basilica di San Francesco, là dove si sono conclusi anche i precedenti raduni, si terrà il momento finale della giornata, con la rinnovazione solenne del comune impegno per la pace.

In preparazione a tale Giornata, Papa Benedetto XVI presiederà in San Pietro, la sera precedente, una veglia di preghiera, con i fedeli della Diocesi di Roma. Le Chiese particolari e le comunità sparse nel mondo sono invitate ad organizzare momenti di preghiera analoghi.

Nelle prossime settimane i Cardinali Presidenti dei Pontifici Consigli per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, del Dialogo Interreligioso e della Cultura dirameranno gli inviti, a nome del Santo Padre. Il Papa chiede ai fedeli cattolici di unirsi spiritualmente alla celebrazione di questo importante evento ed è grato a quanti potranno essere presenti nella città di San Francesco, per condividere questo ideale pellegrinaggio.

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1.4.11

Lo splendore della pace di Francesco

del cardinale Joseph Ratzinger
tratto dal n°1-2002 del mensile 30giorni

Quando, giovedì 24 gennaio, sotto un cielo gravido di pioggia, si è mosso il treno che doveva condurre ad Assisi i rappresentanti di un gran numero di Chiese cristiane e comunità ecclesiali assieme ai rappresentanti di molte religioni mondiali per testimoniare e pregare per la pace, questo treno mi è apparso come un simbolo del nostro pellegrinaggio nella storia.
Non siamo, infatti, forse tutti passeggeri di uno stesso treno? Il fatto che il treno abbia scelto come sua destinazione la pace e la giustizia, la riconciliazione dei popoli e delle religioni non è forse una grande ambizione e, al contempo, uno splendido segnale di speranza? Ovunque, passando nelle stazioni, è accorsa una gran folla per salutare i pellegrini della pace. Nelle strade di Assisi e nella grande tenda, il luogo della testimonianza comune, siamo stati nuovamente circondati dall’entusiasmo e dalla gioia piena di gratitudine, in particolare di un numeroso drappello di giovani. Il saluto della gente era diretto principalmente all’uomo anziano vestito di bianco che stava sul treno. Uomini e donne, che nella vita quotidiana troppo spesso si fronteggiano l’un l’altro con ostilità e sembrano divisi da barriere insormontabili, salutavano il Papa, che, con la forza della sua personalità, la profondità della sua fede, la passione che ne deriva per la pace e la riconciliazione, ha come tirato fuori l’impossibile dal carisma del suo ufficio: convocare insieme in un pellegrinaggio per la pace rappresentanti della cristianità divisa e rappresentanti di diverse religioni. Ma l’applauso, rivolto innanzitutto al Papa, esprimeva anche un consenso spontaneo per tutti coloro che con lui cercano la pace e la giustizia, ed era un segnale del desiderio profondo di pace che provano gli individui di fronte alle devastazioni che ci circondano provocate dall’odio e dalla violenza. Anche se talvolta l’odio appare invincibile e si moltiplica senza sosta nella spirale della violenza, qui, per un momento, si è percepita la presenza della forza di Dio, della forza della pace. Mi vengono alla mente le parole del salmo: «Con il mio Dio scavalcherò le mura» (Sal 18, 30). Dio non ci mette gli uni contro gli altri, bensì Egli che è Uno, che è il Padre di tutti, ci ha aiutato, almeno per un momento, a scavalcare le mura che ci separano, facendoci riconoscere che Egli è la pace e che non possiamo essere vicini a Dio se siamo lontani dalla pace.
Nel suo discorso il Papa ha citato un altro caposaldo della Bibbia, la frase della Lettera agli Efesini: «Cristo è la nostra pace. Egli ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia» (Ef 2, 14). Pace e giustizia sono nel Nuovo Testamento nomi di Cristo (per «Cristo, nostra giustizia» vedere ad esempio 1Cor 1, 30). Come cristiani non dobbiamo nascondere questa nostra convinzione: da parte del Papa e del Patriarca ecumenico la confessione di Cristo nostra pace è stata chiara e solenne. Ma proprio per questa ragione c’è qualcosa che ci unisce oltre le frontiere: il pellegrinaggio per la pace e la giustizia. Le parole che un cristiano deve dire a colui che si mette in cammino verso tali mete sono le stesse usate dal Signore nella risposta allo scriba che aveva riconosciuto nel duplice comandamento che esorta ad amare Dio e il prossimo la sintesi del messaggio veterotestamentario: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12, 34).
Per una giusta comprensione dell’evento di Assisi, mi sembra importante considerare che non si è trattato di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia. Infatti, là dove manca la giustizia, dove agli individui viene negato il loro diritto, l’assenza di guerra può essere solo un velo dietro al quale si nascondono ingiustizia e oppressione.
Con la loro testimonianza per la pace, con il loro impegno per la pace nella giustizia, i rappresentanti delle religioni hanno intrapreso, nel limite delle loro possibilità, un cammino che deve essere per tutti un cammino di purificazione. Ciò vale anche per noi cristiani. Siamo giunti veramente a Cristo solo se siamo arrivati alla sua pace e alla sua giustizia. Assisi, la città di san Francesco, può essere la migliore interprete di questo pensiero. Anche prima della sua conversione Francesco era cristiano, così come lo erano i suoi concittadini. E anche il vittorioso esercito di Perugia che lo gettò in carcere prigioniero e sconfitto era formato da cristiani. Fu solo allora, sconfitto, prigioniero, sofferente, che cominciò a pensare al cristianesimo in modo nuovo. E solo dopo questa esperienza gli è stato possibile udire e capire la voce del Crocifisso che gli parlò nella piccola chiesa in rovina di San Damiano la quale, perciò, divenne l’immagine stessa della Chiesa della sua epoca, profondamente guasta e in decadenza. Solo allora vide come la nudità del Crocifisso, la sua povertà e la sua umiliazione estreme fossero in contrasto con il lusso e la violenza che prima gli apparivano normali. E solo allora conobbe veramente Cristo e capì anche che le crociate non erano la via giusta per difendere i diritti dei cristiani in Terra Santa, bensì bisognava prendere alla lettera il messaggio dell’imitazione del Crocifisso.
Da quest’uomo, da Francesco, che ha risposto pienamente alla chiamata di Cristo crocifisso, emana ancora oggi lo splendore di una pace che convinse il sultano e può abbattere veramente le mura. Se noi come cristiani intraprendiamo il cammino verso la pace sull’esempio di san Francesco, non dobbiamo temere di perdere la nostra identità: è proprio allora che la troviamo. E se altri si uniscono a noi nella ricerca della pace e della giustizia, né loro né noi dobbiamo temere che la verità possa venir calpestata da belle frasi fatte. No, se noi ci dirigiamo seriamente verso la pace allora siamo sulla via giusta perché siamo sulla via del Dio della pace (Rm 15, 32) il cui volto si è fatto visibile a noi cristiani per la fede in Cristo.